Caro Esarcato, guardiamo le tendenze dell’economia globale. Saranno queste, infatti, a determinare l’entità della ripresa in Italia perché molto dipendente dall’export. Quando e quanto ci sarà la ripresa della domanda mondiale?

La ripresa è già in atto pur non in modo omogeneo. Gli istituti di ricerca prevedono che nel 2010 sarà robusta. Ma vedo – con il mio gruppo di ricerca – un’ombra, anzi una tempesta, all’orizzonte. Il mercato mondiale sta cambiando. Dal 1945 al 2008 è stato retto dall’America che importava beni da tutto il pianeta producendo un effetto locomotiva diffuso.



Per esempio, il Giappone esportava molto in America, ma anche importava tante cose per costruire le cose da esportare, così gli europei, ecc. Tutte le economie si sono adattate a questa configurazione generando modelli di crescita basati più sull’export che sulla crescita interna. Già alla fine degli anni ‘90 il mercato statunitense si rivelò essere troppo piccolo per reggere un’economia internazionale che si era ingrandita.



Per dieci anni la locomotiva ha continuato a correre comunque perché “pompata” dal ricorso massiccio al debito per sostenere consumi e importazioni, finanziato dagli esportatori. Ma ciò la ha portata fuori giri. E al primo incidente in un settore il sistema complessivo era così vulnerabile per squilibrio da implodere.

Ora l’America dovrà risanarsi con un lento riequilibrio. Importerà di meno e per questo tutte le nazioni dovranno cambiare modello economico facendo più crescita interna per bilanciare il minore export. La Cina sta tentando, ma con esiti minimi. I Paesi dell’eurozona dovrebbero ridurre tasse e costi statali per dare impulso al mercato. Il Giappone dovrebbe perfino cambiare modello di società rinunciando al suo peculiare consociativismo. Difficile che ci riescano in tempi brevi. Ed è un’ombra sull’entità della ripresa.



Ma c’è un pericolo più grave. Nella necessità di fare più crescita interna molti Paesi potrebbero ricorrere al protezionismo “implicito”. Per esempio, svalutazioni competitive o politiche economiche nazionali che riducono i volumi del commercio internazionale nonché inducono una instabilità endemica nel sistema finanziario e monetario. Se tale rinazionalizzazione dell’economia globale avvenisse, e ci sono parecchi sintomi, potrebbe esserci una depressione mondiale.

Cosa possiamo dire oggi al riguardo sia del rischio di ripresa lenta, anche dovuto alla riparazione non breve del sistema finanziario, sia di quello di rinazionalizzazione del mercato globale? Il secondo è il più rilevante e influisce sul primo. Da un lato i governi del G20 si sono impegnati a minimizzarlo. Ed è una buona notizia. Ma il punto critico dello scenario è la sostituzione della locomotiva statunitense, o la sua integrazione, affinché ci sia un centro motore (e ordinatore) del mercato globale che lo tenga stabile e aperto.

Al momento tale centro si sta costituendo in forma di sistema binario America-Cina. Ma sembra più una sommatoria di due debolezze, non ultima quella monetaria, che la convergenza tra due forze. Chi scrive si sentirebbe meglio se vi fosse un G2 euroamericano e una convergenza tra euro e dollaro. Questa, in particolare, sarebbe il pilastro su cui ancorare un accordo di stabilità monetaria internazionale, base per la crescita e stabilità globali. Ma non c’è segno di una tale direzione.

Oggi, pertanto, non resta che invocarla e segnalare che alla fine del picco della crisi economica globale corrisponderà l’inizio di quella politica. Per questo l’interesse dell’Italia è di premere Ue e America affinché formino un G2 che sia pilastro, centro e motrice del mercato mondiale.