Il clima è vacanziero, quindi prima le buone notizie. La crisi baltica è ufficialmente esplosa, certificata dal downgrading dell’altro giorno da parte di Standard&Poor’s del rating di Lettonia ed Estonia, scivolate nella categoria BB e A- dopo che gli ultimi dati parlano di una contrazione dell’economia del 16% e un debito pubblico schizzato fuori controllo e destinato a raggiungere l’80% del Pil nel 2011 quando solo lo scorso anno era al 19%. La Lituania, addirittura, può contare su una contrazione del Pil del 22%. Chi ha investito laggiù, svedesi in testa, passerà un’estate un po’ tribolata.
Sempre nella categoria buone notizie possiamo classificare la contrazione dell’11% dell’economia russa, con un deficit di budget al 9,4% e un tasso di disoccupazione a quota 13% e in continua crescita. Ieri, a Londra, si parlava chiaramente di “fine del modello Putin”: evviva.
Passiamo ora alle cattive notizie che purtroppo non mancano mai. Ma, questa volta, sono decisamente peggiori del solito. E arrivano, come al solito, dalla Cina. Per chi segue quanto scrivo la questione è già chiara, ma meglio fare un breve riassunto prima di rendere note le novità di giornata. La Cina non solo non trascinerà il mondo verso la ripresa ma anzi sta pagando a caro prezzo la politica scelta dalla Banca centrale di rendere più semplice e accessibile il credito.
Occorre, insomma, trovare strade alternative. Da Pechino è infatti giunta la richiesta agli istituti affinché controllino che il credito che hanno offerto in eccesso, qualcosa come 1.080 miliardi di dollari nel primo semestre dell’anno, vada verso l’economia reale e non a creare bolle in asset nei mercati dell’equity e del real estate: troppo tardi, le bolle si sono già formate e purtroppo non ci metteranno molto a gonfiarsi a dismisura. Inoltre questa enorme, ennesima massa di prestito emessa nel dicembre scorso sta ingolfando il sistema bancario, incapace di gestire quel quantitativo di denaro che infatti viene stoccato come reserve a Shanghai o utilizzato – come già detto – per mantenere artificialmente in vita il settore della costruzioni, devastato dalla crisi.
Inoltre la società di rating Fitch si è messa a fare le pulci alla Cina in questo periodo e il quadro che ne è uscito è stato tutt’altro che consolante: «Le future perdite subordinate allo stimolo messo in atto dalle autorità governative potrebbero presentare entità maggiori del previsto e non è affatto chiaro come i governi locali e nazionali saranno in grado di, o vorranno, intervenire». Linguaggio da agenzia di rating che si traduce però nel downgrading della Cina nell’indicatore “macro-prudential risk” da categoria 1 (sicura) a categoria 3 (dove giace, per capirci, la fallita Islanda).
Ecco la novità. La China Construction Bank, secondo istituto del paese per quanto riguarda i prestiti, ha annunciato un taglio del 70% del numero di prestiti nella seconda metà dell’anno, per il semplice motivo che, parole del presidente dell’istituto Zhang Jianguo, «ci siamo resi conto che questi soldi non terminavano all’economia reale come stimolo. I prezzi delle case, infatti, sono cresciuti troppo».
Evviva, non c’è più il timore della bolla, c’è la bolla bella e buona. Prepariamoci ai subprime in salsa cinese e sarà tutt’altro che piacevole. Tanto più che Andy Xie, il principale consulente finanziario del paese, parla della politica bancaria come di «un gigantesco schema Ponzi che creerà danni enormi, difficilmente preventivabili, all’economia del paese». Insomma, siamo alle piramidi albanesi del 1996 all’ennesima potenza.
Il problema è che se la Cina crolla, come crollerà, ti saluto rally dei mercati resi possibili da speculazioni sulle commodities e fiumi di liquidità garantiti da Pechino su quei mercati e via alla fase peggiore della crisi, quella che non abbiamo ancora vissuto. L’export cinese si è già contratto del 23% rispetto allo scorso anno e il fatto che quella voce rappresenti il 40% del Pil cinese, la dice molto lunga anche sulla tenuta dell’economia reale. Le navi restano in porto, il costo dell’affitto di un cargo è ridicolo rispetto a due anni fa, la bolletta energetica cala: la Cina, motore della ripresa, sta andando in testacoda. Il prossimo passo sarà l’inversione di tendenza dell’indice Shanghai Composite che trascinerà con sé, al ribasso, Wall Street e di conseguenza l’Europa e i suoi listini con book illiquidi e prese di beneficio salutate come nuove Fenici che risorgono dalle loro ceneri. Buona estate ottimisti, godetevela perché settembre ci svelerà, finalmente e purtroppo, la vera entità di questa crisi.
P.S. Nonostante questo, la sonnolenta Europa ci regalava un unico motivo di dibattito ieri. Ovvero, la minaccia simil-mafiosa del leader dei social-democratici tedeschi, Frank-Walter Steinmeier, a Londra: «Non potete opporvi a una più stretta regolamentazione dei mercati finanziari». Complimenti, un vero genio.