Il barometro della crisi fa segnare i suoi consueti alti e bassi: prima l’Ocse, poi i dati Confcommercio sui consumi in calo, poi l’indice Zew. E si potrebbe continuare. Intanto continuano ad arrivare, quasi giorno dopo giorno, dati su dati, ai quali diamo il compito di confermare le nostre aspettative, o di scacciare i nostri timori, di piccoli risparmiatori, di imprenditori o investitori, che la crisi sia ancora molto, molto lunga. Ma stiamo attenti a non buttarci in braccio ai dati con segno meno, dice Francesco Forte, e nemmeno ad aspettarci, troppo fiduciosi, che siano le borse a sancire la ripresa.



I dati di Confcommercio dicono che i consumi degli italiani sono in drastico calo. La frenata, dunque, continua. Non stavamo uscendo dalla crisi?

Secondo le stime, opinabili, di Confcommercio abbiamo una riduzione dei consumi del 2%. Con una flessione del Pil, lo dice sempre Confcommercio, intorno al 4%. È significativo che le spese delle famiglie abbiano in media una flessione minore di quella del Pil. Ciò dipende in gran parte dagli ammortizzatori sociali, e dal fatto che gli stipendi del pubblico impiego sono indipendenti dalla crisi di produttività del lavoro. Insomma, starei attento ad enfatizzare i dati con segno negativo.



Le famiglie italiane, quindi, stanno bene?

Penso che le famiglie, in realtà, anche se hanno un reddito in flessione moderata, abbiano aumentato la loro propensione al risparmio. Molti italiani usavano comprare a rate: anche in Italia, si diceva,  dobbiamo essere in linea con gli altri paesi europei. Ne siamo proprio sicuri? Spendere a credito non è mai una sana abitudine. E in una famiglia è anche iniqua, perché pregiudica il futuro. Credo che la crisi abbia portato un po’ più di saggezza.

L’Ocse dice che anche per l’Italia il peggio è passato; ieri l’indice Zew sulla fiducia riportava per l’Italia un valore di 42,8, con più 16,6 punti rispetto al 26,2 di luglio…



Occorre certamente tener conto di eventuali errori derivanti da sfasamenti temporali collegati alle rilevazioni. Quindi siamo certamente ad un punto di svolta, ma gli effetti positivi di cui si parla nell’indice Zew dovrebbero manifestarsi con più coerenza nell’ultimo trimestre e nel primo dell’anno prossimo. Ma io penso – ed è un’opinione personale – che in realtà gli indici economici dell’Italia, e di altri paesi come la Germania, hanno sopravvalutato certi aspetti dell’economia e ignorato altri.

A cosa si riferisce in particolare?

Esiste una vastissima gamma di servizi di cui la gente si avvale, e che non hanno avuto una flessione, ma in certi casi possono essere perfino in crescita. L’esercito di badanti che si occupa della popolazione anziana, per esempio. Molte di queste persone se straniere non sono in regola, a volte però sono cittadini comunitari: polacchi e rumeni, anche se sono in nero, non hanno il problema del permesso di soggiorno. Le spese delle famiglie per queste persone non passano per l’Iva ma sono effettuate brevi manu. E non c’è un passaggio dei dati dall’Inps all’Istat, perché l’Istat fa indagini campionarie e non usa questi dati. Questi servizi sono sicuramente sottostimati.

È anche il caso degli immobili, o no?

Certamente. I comuni hanno 100 miliardi di euro di immobili, forse calcolati per 50 miliardi. Gli immobili dei comuni sottostimati nelle valutazioni catastali riguardano tutto il patrimonio edilizio italiano, che in questi anni è stato continuamente migliorato, ampliato, restaurato, anche fruendo di numerose agevolazioni. I redditi che derivano da questo patrimonio non compaiono dal punto di vista monetario. Non sarebbe così se ci fosse un censimento accurato di questi immobili.

Lei quindi sta dicendo che ci sono tante voci che vanno a formare il Pil ma che non sono censite.

Sì. Di fatto gli indicatori dell’Istat non attribuiscono a queste voci di spesa il loro giusto peso e la loro proporzione nel paniere complessivo.

Istituti di ricerca e governi sono tutti a caccia di segni di ripresa. Vien da dire: non aspettiamoci che a darli siano i mercati…

Due o tre anni fa c’è stata una sopravvalutazione dei titoli azionari, e a parte alcuni titoli di pubblica utilità, per i quali si guardava effettivamente al rendimento in prospettiva, per molti titoli si sono immaginati tassi di capitalizzazione non rapportati al loro effettivo rendimento. Questo ha fatto sì che si siano raggiunte, in Italia meno che altrove, quotazioni gonfiate, in particolare per i titoli bancari. Le borse si sono e si stanno ridimensionando. Ecco perché deludono le aspettative.

L’altro ieri il ribasso sui mercati asiatici si è propagato ai listini delle borse occidentali. Che ne pensa?

Gli operatori economici internazionali guardano molto alla Cina, perché pensano che la borsa sia uno specchio dell’economia cinese, ma si rischiano delle topiche. In Cina il sistema industriale è misto pubblico-privato, quello finanziario è libero ma le basi per alimentarlo sono tutte sotto il controllo del regime, perché le banche sono pubbliche o quasi. E la borsa è molto speculativa, quindi rappresenta solo una parte della ricchezza nazionale.

Operazioni favorite dai bassi tassi di interesse?

C’è anche questo. Tre quarti delle operazioni che vengono effettuate su quei mercati sono speculative, favorite dal fatto che quando il denaro costa zero fare azioni speculative costa pochissimo. Dobbiamo rassegnarci: con queste politiche di bassi tassi di interesse, derivate purtroppo dalla necessità di aiutare le banche in crisi, avremo grandi fluttuazioni nel prezzo del petrolio, nelle derrate alimentari, nelle varie borse. Ecco perché non conviene affidarsi alle borse per avere il barometro della crisi.

Per quanto riguarda la situazione della nostra economia reale, è più pessimista o ottimista?

Sono notevolmente ottimista, nel senso che l’economia italiana meriterebbe un giudizio più lusinghiero, internazionale e degli organi statistici. C’è una tendenza al ribasso, con capifila Confindustria e Istat, per motivi di convenienza. Confindustria per strappare concessioni e benefici, l’Istat per mostrare che la situazione è grave e che meglio sarebbe, per far fronte alla situazione, un governo di unità nazionale. Meglio se di sinistra. Non parliamo di Confcommercio.

Convenienze politiche a parte, siamo dunque messi meglio di quanto si crede?

La nostra economia è molto ben strutturata a livello di imprese medie e medio-grandi nel campo manifatturiero, è bene orientata nel commercio estero, perché a differenza degli Usa che sono Cina-dipendenti, il nostro è più diversificato e quindi più elastico. Poi abbiamo un’eccellente agricoltura e industria agroalimentare, e in più abbiamo una buona industria turistica, sottovalutata dal punto di vista delle stime a motivo della solita economia sommersa. Ma la piaga del sommerso dipende

Dall’avere oneri contributivi e retribuzioni impostate sui criteri delle parti più evolute del paese, anche se questa è diventata spesso e volentieri un alibi per evadere.

Anche il turismo nel mirino?

Senz’altro. Prendiamo la Sicilia. Come flusso alberghiero Taormina è stazionaria da non so quanti anni. Poi però se uno guarda il trend partenze/arrivi negli aeroporti di Catania e Palermo, vede che ci sono flussi doppi o tripli rispetto a quello alberghiero… è evidente che c’è un’evasione di Iva massiccia. Al solito, siamo in presenza di un reddito occulto di dimensioni imponenti.

Morale?

Vogliamo sapere dove va la crisi? Non chiediamolo solo a noi stessi: abbiamo le nostre responsabilità, ma stavolta abbiamo subito la crisi degli altri.