Ci risiamo. Dopo aver fatto le brave per qualche tempo, onde evitare il linciaggio e soprattutto di non ottenere i fondi statali per i piani di salvataggio, le banche Usa hanno ripreso le vecchie abitudini: bonus rivoltanti ai manager e, soprattutto, il brutto vizio di cercare di scaricare lo schifo presente nei propri assets spezzettandolo e rivendendolo come sicurissimo prodotto nuovo.
A denunciarlo è Herbert Kaufman, professore di Economia alla Arizona State University: «C’è un po’ di déjà vu in tutto questo», ha dichiarato interpellato da Cnbc. Anche perché, sempre secondo lui, «è proprio questa pratica di spezzettamento e impacchettamento che ha creato il cuore vero del problema, ovvero intasare i mercati e rendere non rintracciabile il punto di partenza del marcio, la sua radice, quella che di fatto va a infettare anche quanto di buono c’è nel mercato finanziario e di investimento». Sia come sia, quelle obbligazioni – nemmeno a dirlo – sono valutate l’una per l’altra con rating AAA: ancora déjà vu.
Siamo al passo successivo, all’evoluzione della specie dei re-remics (resecuritization of real estate mortagage investment conduits), ovvero una nuova generazione di cdo (collateralized debt obligations) che già ad inizio anno aveva cominciato a far luccicare gli occhi agli operatori della City e di Wall Street. Ma partiamo dai cdo per capire meglio di cosa stiamo parlando. Come ormai saprete i cdo sono dei pacchetti con un’obbligazione emessa dalla banca e con all’interno diversi debiti che cercano un investitore per coprirli, tra cui anche i tanto giubilati subprime.
Accade dunque che una banca che vuole dei finanziamenti emette questi cdo cercando credito, promettendo di ripagare il tutto con relativi interessi: in caso di mancato rimborso, però, la banca ci rimetterà i soldi investiti nel mutuato e i soldi da restituire all’investitore vedendo svalutare questi titoli e quindi anche il proprio portafoglio.
Cosa sono invece i re-remics? Un fondo di investimento in mutui ipotecari su immobili. In realtà si prendono un bel po’ di mutui, molti dei quali rischiosi, li si spezzetta, li si trasferisce in bond che vengono mischiati per bene e immessi nel mercato: una macedonia di cdo. Nei primi cinque mesi dello scorso anno, mentre la crisi esplodeva in tutta la sua virulenza, il volume di investimento in re-remics ha toccato quota 9,3 miliardi di dollari (il 47% di tutti i bond di debito emessi in quel periodo escludendo quelli di Fannie Mae e Freddie Mac, tre volte tanto rispetto allo stesso periodo del 2007).
Goldman Sachs, JP Morgan Chase e altre sei banche d’affari prima dell’estate si sono lanciate su questo mercato riassicurando pacchetti di investimenti che come cdo non riuscivano più a trovare mercato ma che come re-remics diventavano appetibili. Il perché è presto detto: i re-remics contengono meno di dodici tipi di bond a loro interno, quindi appaiono più analizzabili e soprattutto sono formalmente formati solo da debiti con rating AAA, sicurissimi sulla carta. Solo che la differenza tra i cdo subprime e i re-remics è quantomeno comica alla luce di quanto accaduto: nel primo caso si garantivano mutui a potenziali insolventi, nel secondo caso la controparte non è tenuta a provare il proprio reddito.
Ma non è tutto visto che grandi merchant bank e alcuni segmenti di hedge funds in questi giorni di turbolenza hanno creato desk appositi per l’acquisto di cdo e re-remics, investimenti che nel lungo termine possono risultare fruttuosi visto che prima o poi la crisi immobiliare finirà e il sottostante di quei veicoli sono beni immobili. Non male, alla faccia dei green shots borsistici, degli Stati che si svenano, dei cds sul rischio di default sul debito dei paesi dell’Est e baltici in continua crescita, della Cina che sbanda e degli Usa che – nonostante i buoni propositi – continuano a piazzare sul grande mercato delle riserve estere il debito sempre crescente.
Ma se l’atteggiamento di alcuni trader può apparire criminale (in effetti non lo è del tutto, l’evidenza storica sembra infatti mostrare che il rendimento medio di lungo periodo dei titoli “buoni” e dei junk bonds sia stato abbastanza allineato – ovviamente, basso e stabile il primo; grandi guadagni che si alternano a grandi perdite per i secondi. Nel caso specifico dei re-remics la spiegazione potrebbe essere che il prezzo è precipitato ed è ovviamente il momento di comprare: chi non ha problemi di deleveraging, eccessiva esposizione, può farlo con fondi propri e fa un affare), capire a quale gioco si stia giocando sul mercato delle commodities appare davvero un rompicapo. Ma di questo tema vi parlerò in un prossimo articolo.