La crisi economica continua, anche se il presidente Usa ha detto che vediamo la fine della recessione. Dopo che se n’è fatto un gran parlare quando è stata resa nota – forse in taluni casi senz’averla nemmeno letta – per Gotti Tedeschi, economista, è ora di riprendere in mano la Caritas in veritate, l’ultima enciclica di Benedetto XVI. Un testo che tutti gli economisti dovrebbero leggere, se volessero davvero capire “cosa non ha funzionato”. Per cominciare: «non è l’etica che salverà l’uomo dalla crisi».
Gotti Tedeschi, qual è il senso dello stretto rapporto che viene fissato dall’enciclica tra veritas e caritas? In altre parole: esiste un’economia “vera” o soltanto uno strumento, per quanto complesso, per produrre ricchezza?
Ma è l’economia stessa, se prescinde dal rapporto con la verità, che si nega e come tale non esiste più. Per capirlo non è necessario essere economisti. È la crisi a dimostrarlo, a far capire, a chiunque abbia un minimo di perspicacia, che un’economia che fa a meno della verità è impossibile – a patto di ambire a risultati diversi da quelli che sono sotto gli occhi di tutti. in questo senso la crisi è una grande, macroscopica lezione che non deve andare sprecata.
No ad un’economia senza la verità, dunque. Mandiamo anche gli economisti a scuola di religione?
Niente di tutto questo. Economia vera vuol dire che non può esistere un’economia concepita come estranea a certe leggi che sono scritte nelle cose e che quindi stanno anche alla base dell’attività economica. Il rapporto tra mezzi e fini, per esempio. Se l’economia da mezzo diventa fine, avremo soltanto uno strumento per moltiplicare la ricchezza a qualunque costo. È l’uomo che deve saper usare i mezzi di cui dispone. E per saperli usare deve conoscere i fini.
Non è frequente parlare di economia con un banchiere e sentir dire di «leggi scritte nelle cose».
Se le leggi della natura non vengono rispettate, danno luogo a risultati che vanno puntualmente contro l’uomo che pretende di manipolarle. E per leggi della natura intendo innanzitutto, come ho spiegato, il rapporto tra mezzi e fini. Là dove la moltiplicazione di ricchezza, per esempio attraverso un uso smodato di strumenti finanziari innovativi, diviene fine a se stessa, i risultati sonno quelli che abbiamo visto. Non è necessario parlare di Dio. Stiamo parlando di economia e proprio questo fa l’enciclica, esattamente come hanno fatto la Populorum progressio e la Centesimus annus.
Va allora ricostruito un rapporto, che la crisi ha perduto, tra l’economia e l’etica. È così?
No. Non è l’etica che salverà l’uomo dalla crisi. Se vogliamo avere un’economia più rispettosa della morale occorre semplicemente – si fa per dire – essere buoni economisti. Il rapporto tra l’etica e l’economia non sta nel fatto che chi fa economia decide di essere più morale, o che si ferma per pregare, ma precisamente in questo: che fa il buon economista. Ciò che crea prosperità è il buon utilizzo di quei particolari strumenti – lo strumento economico in questo caso – che la natura, cioè quello di cui siamo dotati, ha messo a nostra disposizione.
Il presidente Usa ha detto che siamo vicini alla fine della recessione. È d’accordo?
Guardi, per poterlo dire dovrei avere le informazioni che ha il presidente degli Stati Uniti, ma dati del genere non sono in mio possesso. Per capire le recenti affermazioni di Obama parto da un fatto, e forse è lo stesso dal quale è partito lui: la fiducia oggi è una risorsa scarsa. Di conseguenza espandere fiducia è essenziale. Ma, aggiungo io, occorrono concretezza e pragmatismo. E la saggezza per invertire la rotta.
Cosa andrebbe cambiato nel paese leader del capitalismo mondiale?
La crisi ci ha messo sotto gli occhi una situazione perversa in cui le famiglie americane hanno sussidiato lo stato. Anziché essere lo stato a servizio delle persone, le persone hanno servito lo stato. La vita a debito delle famiglie americane è stata il segno più evidente di come si può alimentare e indurre uno stile di vita finalizzato a produrre uno sviluppo economico truccato e illusorio per far crescere il Pil americano. Non è un caso che all’inizio del G20 Obama abbia dichiarato che «noi americani dobbiamo smettere di vivere al di sopra delle nostre capacità».
Ammetterlo vuol dire riconoscere che il consumismo a debito ha causato il disastro.
Sì. E non lo dico io, lo ha detto il presidente degli Stati Uniti. Le famiglie hanno perso i pochi risparmi che avevano, hanno perduto il fondo pensione privato investito in azioni, si ritrovano con anni di debiti da pagare, devono far fronte alla disoccupazione. Serve fiducia, d’accordo. Obama allora fa bene a dire che la crisi è dietro le spalle, ma deve dire anche perché, secondo lui, è finita. Se lo dicesse, dovrebbe anche spiegare perché non dovrebbe più ripetersi.
Allarghiamo lo sguardo al tema del momento. Il “G2” tra Usa e Cina sarà l’asse portante dell’economia e della politica globale in questo secolo? Che ruolo potrà avere l’Europa?
Gli Usa vorrebbero l’alleanza strategica con la Cina, perché la Cina ha quello che gli Stati Uniti non hanno: enormi capacità di investimento e di consumo. È esattamente quello che serve agli Stati Uniti. Dal canto suo la Cina è destinata ad aumentare la sua influenza e a diventare la prima potenza economica mondiale. Non credo però che ci sarà un vero e proprio asse bipolare Usa-Cina. Il perché? La Cina non guarda agli Usa come gli Usa guardano alla Cina. Vedo la Cina opportunisticamente rivolta verso gli Usa, ma strategicamente rivolta all’Europa. Più che una “Chimerica” forse ci sarà qualcosa di diverso, perché la Cina sta investendo massicciamente in Ue e le interessa molto il Mediterraneo, verso il quale sta esportando popolazione, capitali e capacità produttiva. Ci attendono scenari ed equilibri del tutto nuovi.