Il rally continua. Anzi, continuerà. Ne sono certi i traders di mezzo mondo che stanno scommettendo l’impossibile sulla possibile apertura di un “mercato del toro” dopo che la scorsa settimana, ad esempio, Londra ha toccato i suoi massimi da sei anni a questa parte. Si ammassano ordini e scommesse, definite “bullish” dalla stessa stampa specializzata che teme un tonfo di quelli spaventosi.



E il tonfo, purtroppo, ci sarà. Settembre porterà, insieme ai temporali che cancellano l’estate e i suoi ricordi, anche una terza fase di crisi dalla quale non si sa quanti saranno in grado di risollevarsi. In America falliscono banche locali come fossero bar di periferia ma il tutto accade nel silenzio più totale. Certo, quando sono i dipendenti di Lehman Brothers a fare gli scatoloni in favore di telecamere la cosa fa più effetto ma la sostanza non cambia: certo, quelle banche non sono controparti di contratti stipulati dagli istituti di mezzo mondo ma questo non significa che il costo, per i contribuenti Usa, non salirà.



Ma, rischiando di sembrare paranoico, è ancora la Cina a inviarci segnali di conferma che un altro tsunami è all’orizzonte. Stando alle valutazioni di Robin Griffiths, analista strategico alla Cazenove Capital, il mercato cinese crollerà del 25% portando con sé verso il baratro le azioni Usa con l’indice S&P500 destinato a scendere sotto quota 800 punti.

Solo allora si potrà parlare di ripresa: ma sarà lenta, tutt’altro che indolore e soprattutto foriera di cambiamenti epocali. Non è un caso che due giorni fa, dopo aver profuso ottimismo a piene mani, Barack Obama abbia dovuto ammettere che la crisi non è ancora finita. A conferma dei suoi timori, Griffiths cita anche l’effetto “Shanghai surprise” di cui abbiamo già parlato, ovvero il crollo dell’8% dell’indice Shanghai Composite trascinato al ribasso da China State Construction Engineering e dai timori che le principali banche del paese, come richiesto dalla Banca Centrale di Pechino, comincino a stringere pesantemente i cordoni del credito.



Per Griffiths il crollo del mercato Usa, come conseguenza di quello cinese, avverrà in maniera più netta nel mese di ottobre, quando appunto l’indice S&P 500 andrà sotto quota 800 punti. Terminata la fase ciclica, si riprenderà ed entro l’estate del 2010 si arriverà a rivedere l’indice attorno ai 1250 punti. Insomma, ancora un anno prima di poter affermare quanto i leader mondiali affermano da sei mesi salvo smentirsi nell’arco di pochi giorni.

Inoltre, anche il tonfo nei profitti registrato nel secondo trimestre da Hsbc, banca britannica tra le leader del mondo, non depone a favore dell’ottimismo: il -51%, dovuto ai cosiddetti “bad loans”, è un incubo che lancia segnali di allarme per le altre banche europee. Se infatti Hsbc paga un’esposizione molto più ampia delle altre sui mercati emergenti, è altrettanto vero che il Far East e l’Australia – caposaldi di Hsbc – sono certamente meno problematici dell’Est europeo (in Australia i derivati sono vietati) dove giacciono prestiti e investimenti delle banche Ue.

La speranza è che i regolatori non mollino la presa e obblighino – sì, obblighino anche con le cattive -gli istituti europei a compiere stress test nel mese di settembre e ottobre: se non si sa quale malattia si ha, infatti, è dura cercare la cura. Di converso, rispetto a Hsbc, troviamo Barclays che, avendo monetizzato aumenti di capitale e soprattutto denaro contante della vendita del suo ramo di brokeraggio, festeggia i profitti che hanno toccato i 3 miliardi di pound, distribuendo bonus in stile Goldman Sachs ai propri manager: quando non si vuole capire la lezione, d’altronde, è inutile insistere (l’altra sera un gruppo di traders di Goldman Sachs ha speso 20mila sterline in drink per festeggiare i bonus percepiti).

Quella banca giace su una potenziale leva di leverage che equivale al Pil britannico, l’80% del quale è già stato speso per interventi in favore del sistema finanziario: stanno facendo una gara di velocità in automobile non sapendo che alla fine della strada c’è un muro. L’euforia ti fa pensare che manchino ancora chilometri ma, come insegna Lehman, a volte si trova proprio dietro la prima curva. Insomma, nulla di nuovo: sui mercati vige l’irrazionalità più totale nonostante l’indice Vix, quello che misura la volatilità dei mercati e quindi il loro nervosismo, sia salito tra mercoledì e giovedì scorso dopo le notizie arrivate da Pechino.

A Londra come a Milano e New York si scommette, pesante: si compra e si crede che il rally non finirà. Speriamo, ma è un po’ come sperare che nevichi a Ferragosto in Sardegna: non completamente impossibile ma decisamente improbabile.