Da settimane ormai batto sul tasto della Cina e sul fatto che il gigante asiatico sia l’unico soggetto ad aver sfruttato la crisi economica e finanziaria globale per rivedere i propri criteri di sviluppo e investimento, diversificando e quindi operando una sorta di hedging difensivo rispetto alle molte incertezze che gravano e continueranno a gravare sul pianeta: oscillazioni ormai fuori controllo dei fondamentali da parte del prezzo del petrolio, dollaro in caduta libera, banche ancora incapaci di rendere noto quale sia il reale stato patrimoniale e l’entità degli assets tossici, inflazione pronta a galoppare non appena i tassi torneranno a salire, necessità di un nuovo piano di rilancio infrastrutturale per affrontare le sfide energetiche e produttive del futuro.



La pensa così anche Jim O’Neill, capo del dipartimento Global economic research di Goldman Sachs, secondo cui «questa crisi ha costretto la Cina a trasformarsi da economia basata sull’export in un’economia che guarda maggiormente al consumo interno. Si può dire che questa crisi ha fatto davvero bene alla Cina, la quale nonostante tutto entro l’anno raggiungerà un tasso di crescita a doppia cifra. La diversificazione che Pechino sta operando è segnale di un più sofisticato piano di investimento, tanto più che il valore dell’aumento delle vendite al dettaglio cinesi è di molto superiore al valore del calo di quelle Usa. Inoltre basta parlare con i responsabili delle aziende non cinesi che operano nel paese: hanno sempre grandi sorrisi stampati sui loro volti». Insomma, mentre l’America sembra avvilupparsi nella crisi e l’Europa non riesce a trovare una soluzione condivisa, la Cina sfrutta il momento di incertezza per guadagnare terreno.



E leadership. Anche perché, come annunciato ieri dall’ex capo della Fed, Alan Greenspan, «un’altra crisi finanziaria colpirà certamente il pianeta, per il semplice fatto che quando si ricomincerà a fare soldi il senso di avidità umana riproporrà gli stessi errori compiuti nell’ultimo periodo». Essere attrezzati e aver diversificato significa poter affrontare altri scossoni in posizione d’attacco. Come anticipato, in Europa si va in ordine sparso. Il primo governo che sembra voler cercare un argine ai potenziali rischi che presenterà il prossimo autunno è quello spagnolo, che ha annunciato una stretta sulla pressione fiscale, volta a contrastare il deterioramento dei conti pubblici. Una stretta “moderata” quantificata in circa 1,5 punti in termini di Pil ma che rappresenta un’inversione di rotta a 180 gradi rispetto ai programmi che aveva sostenuto fin dall’arrivo al potere, con il taglio delle imposte che costituiva una priorità.



D’altronde prima che esplodesse la crisi la Spagna vantava tra i tassi di crescita più sostenuti in tutta Europa, peccato che gli stessi si basassero sul boom del mercato immobiliare e l’esplosione della bolla ha mostrato a tutti quanto il re sia nudo. Oggi in Spagna il tasso di disoccupazione ha già raggiunto il 17,9 per cento, il livello più elevato in Europa e oltre alla stretta fiscale vi sarà anche una riduzione della spesa pubblica del 4,5 per cento rispetto all’anno in corso. Sui primi sette mesi dell’anno il cumulato di deficit di bilancio della Spagna ha raggiunto 49,68 miliardi di euro, il quintuplo rispetto a un anno prima. Secondo le previsioni dello stesso governo per l’insieme del 2009 balzerà al 9,5 per cento rispetto al Pil, più del triplo del limite del 3 per cento previsto dal patto Ue di stabilità e di crescita. Insomma, o si interviene o si rischia grosso.

Peccato che, al netto della situazione, questa manovra appare poco più che un brodino. Tutta da vedere, invece, la ricetta tedesca anche se una notizia giunta ieri da Francoforte sembra far intendere che comunque vadano a finire le elezioni di fine mese, la bad bank statale si farà. Commerzbank, istituto gravato da 101 miliardi di euro di assets tossici stando ai dati dell’ente regolatore della Borsa tedesca, ha infatti restituito nel mese di agosto cinque miliardi di euro di garanzie statali e sta per rimborsare al governo altri cinque miliardi: Commerzbank smetterà inoltre di emettere obbligazioni garantite dallo Stato. L’esecutivo tedesco aveva concesso a Commerzbank garanzie per quindici miliardi di euro, cinque dei quali sono stati utilizzati per un’emissione obbligazionaria e un’iniezione di capitale da 18,2 miliardi per consentirle di sopravvivere alla crisi finanziaria e di acquisire Dresdner Bank: attualmente lo stato controlla il 25 per cento dell’istituto di credito teutonico. Come ovvio, ieri a metà seduta il titolo Commerzbank era in rialzo del 11,5 per cento alla borsa di Francoforte. Speriamo bene.

E mentre in Grecia gruppi di estrema sinistra fanno le prove di autunno caldo con un attentato alla Borsa di Atene, altrove si naviga a vista. Un altrove che non farete certo fatica a capire a chi sia riferito. Una cosa è certa: la crisi è grave, strutturale e globale quindi i singoli governi possono fare poco ma un dato deve essere chiaro e inequivocabile per tutti. Ovvero, che la vera bomba per l’economia reale, la ripresa e la stabilità sociale non si chiama inflazione ma disoccupazione. Governo, parti sociali e opposizione, quella che ancora ha voglia di pensare al bene comune, intervengano e in fretta. La trappola del lavoro unita a quella potenziale del debito a quota 120 sul Pil potrebbero essere un combinato devastante per il nostro paese: occorre intervenire. E occorre farlo presto.