In un articolo comparso questa settimana Carlo Stagnaro sostiene “l’idea di dividere e privatizzare l’Eni, sottraendola all’influenza della politica” nell’interesse di tutti e per il miglior funzionamento del mercato dell’energia. Lo spunto per questa uscita è dato dalla proposta di un grande fondo finanziario americano (Knight Vinke Asset Management) che suggerisce di separare la grande azienda italiana dell’energia in più tronconi: uno dedicato all’attività estrattiva, un altro alle attività commerciali, ed un terzo alla gestione delle reti (infrastrutture).



Sulla base di questo intervento, vale la pena fare qualche breve considerazione su quanto accade nel comparto dell’energia, rimettendo in fila i concetti di liberalizzazione, privatizzazione, competizione del mercato e vantaggi per i consumatori. Non perché Eni (la cui autorevolezza e dimensioni sono tali da non essere turbate da quelle “provocazioni”) necessiti di una difesa, ma perché la materia è complessa ed articolata, e seguire le suggestioni dei grandi gestori della finanza potrebbe non essere scevro da qualche sorpresa meno gratificante di quelle attese da Stagnaro.



La separazione della filiera energetica dell’energia nelle sue principali aree industriali è alla base della liberalizzazione e della possibilità di creare un mercato: la Comunità europea ha emanato le Direttive ed il nostro paese le ha recepite da quasi dieci anni. Eni ha rispettato le norme, in Italia e all’estero. Nel frattempo il sistema regolatorio si intensifica: dalla separazione di natura contabile ci si avvia verso la separazione funzionale fino a quella proprietaria. I maggiori Stati europei (Francia e Germania avanti a tutti) non sono favorevoli a queste separazioni in tronconi. I più importanti competitor di Eni sono tuttora presenti in tutte le parti della filiera.



Un secondo elemento, ben distinto dal precedente, riguarda le privatizzazione delle società. In Europa lo scenario è molto variegato. Il gigante russo Gazprom è quasi coincidente con “lo Stato”;  la Gaz de France francese o la Statoil norvegese, che deve la sua ricchezza ai pozzi del gas nel suo mare del Nord, a loro volta sono considerati dei veri campioni nazionali. D’altro lato è vero che possono essere vincenti in questo mercato anche le private Shell o Bp, ma la storia anglosassone è ben diversa.

Passando ad un terzo aspetto, il citato articolo annuncia importanti benefici economici per i consumatori e per l’intero sistema. Le ricadute delle proposte del Fondo americano (gli “spezzatini” e l’uscita dalla proprietà pubblica), per l’esperienza osservata, sia in Italia che all’estero (anche nell’Inghilterra della signora Thatcher) possono rivelarsi sia positive (la contrazione dei costi per la competizione) che negative (l’incremento delle funzioni di raccordo e di controllo con relativi aggravi economici).

Come quarta ed ultima annotazione, è bene ricordare che Eni ha già effettuato (sul lato cosiddetto down stream) la separazione delle infrastrutture (rete di trasporto Snamretegas, le caverne di stoccaggio con Stogit, la distribuzione locale con Italgas), mentre sul lato up stream dalla Siberia alla Nigeria ed in tutti i Paesi in cui agisce in concessione, opera già in un regime di confronto, competizione o collaborazione con gli altri players internazionali (dalla Mobil alla Gazprom) verso i quali occorre avere le stesse dimensioni e risorse.

L’affidabilità degli approvvigionamenti, la diversificazione delle fonti, le problematiche geopolitiche, le scelte di ingenti investimenti nei gasdotti e nei pozzi estrattivi, richiedono soggetti autorevoli, competenti e autonomi. Eni ha molte di queste caratteristiche, dunque può e deve essere stimolata ad affrontare il futuro energetico dell’Italia e dell’Europa, non necessariamente seguendo solo le sirene dei Fondi finanziari americani.