Da un lato la Russia, con il progetto South Stream, il gasdotto che dovrebbe collegare la costa russa del Mar Nero, Bulgaria, Grecia, Ungheria, Serbia e Italia. Dall’altro l’Europa e l’America con Nabucco, il gasdotto che transiterebbe su Turchia, Bulgaria, Romania, Ungheria e Austria. A far da cornice, contrapposte strategie geopolitiche, il timore di perder terreno sulle rispettive sfere d’influenza e la necessità, per ciascuno, di non dover dipendere dall’energia prodotta in Paesi ostili. E in mezzo, come sempre, il nostro paese. L’Eni, infatti, intende appoggiare South Stream. Ed ora in molti accusano l’Italia di essere salita sul carro di Putin. Le cose sono un po’ più complicate, per la verità. Un’idea più precisa la fornisce a ilsussidiario.net Vittorio Emanuele Parsi, esperto di questioni internazionali ed editorialista de La Stampa.



Perché Nabucco è fortemente caldeggiato dagli americani, in opposizione a South Stream?

Il progetto Nabucco si muove con l’obiettivo politico strategico di limitare la posizione monopolistica nella distribuzione del gas da parte di Gazprom, il colosso russo, posizione che ha assunto per la sua capacità di porsi come intermediario tra i produttori dell’area centrale e i compratori dell’area occidentale dell’Europa.



Eppure in molti, a cominciare dal Financial Times, rinfacciano all’Italia di perseguire una politica energetica utile, più che altro, alle mire espansionistiche di Putin.

Lo fanno proprio perché l’Italia fa buoni affari. Il problema è che, all’esterno, non sempre abbiamo dato un’immagine rassicurante. Questo consente a chi ha interessi economici competitivi con i nostri di usare queste argomentazioni. E gli interessi sono semplicemente quelli di compagnie energetiche che hanno maggior convenienza nel sostenere Nabucco.

Non è da temere la crescita del peso politico russo, in conseguenza della dipendenza dei Paesi europei dal gas che esporta?



Siamo in una situazione di interdipendenza tale per cui dipendiamo dal gas russo, come i russi dipendono dai soldi dell’Europa. Se chiudono i rubinetti all’improvviso, noi stiamo al freddo per due settimane; dopo due settimane e un giorno, al freddo stano loro, perché non hanno più soldi per fare nulla. Certo, in ogni caso, è auspicabile una politica europea comune del gas come scudo, qualora la Russia volesse usare il gas come arma. Ma non bisogna eccedere nel vedere foschi scenari. A volte ho l’impressione che questi scontri nascondano più le preoccupazioni di qualche cartello finanziario.

Le strategie energetiche non condizionano proprio in nessun modo la nostra politica estera?

C’è chi vede un eccesso di Eni nella politica estera italiana. Ora, l’Eni ha cospicui interessi in Iran, ad esempio. Ma questo condiziona forse la politica estera del governo italiano verso quel paese? No. Non ci siamo minimamente sottratti alle sanzioni contro il regime iraniano, abbiamo sostenuto le manifestazioni popolari contro le elezioni truccate e stiamo sostenendo l’inasprimento delle sanzioni. E in Russia, l’Italia non ha certo assunto una posizione meno critica nella questione georgiana rispetto ad altri Paesi. Siamo un Paese importante inserito nell’Unione europea e nell’Alleanza atlantica. Mi pare che diamo prova continua di essere uno dei paesi più leali alla causa occidentale.

In ogni caso, l’Eni avrebbe potuto agire diversamente?

Avrebbe potuto appoggiare Nabucco. Ma Eni, tradizionalmente, ha sempre cercato vantaggi per l’Italia, anche in una posizione eccentrica rispetto ad una comune europea. Si muove con molta autonomia rispetto ad una sinergia occidentale, ma se non ci fossero stati vantaggi economici, non sarebbe certo entrata in relazione con la Russia. Bisogna ricordare, poi, che due gasdotti paralleli, probabilmente, non solo non si riuscirebbe a riempirli, ma che forse sarebbero irrealizzabili, perché troppo costosi. E potrebbero avere problemi a funzionare a regime. La maggior parte degli investitori di Nabucco, infine, sono esterni alle aree in cui passano i tubi.

L’Italia sta lavorando per ampliare la rete delle forniture, verso l’Algeria e verso il Caspio. Perché?

Il problema di dipendere troppo da un solo Paese è, prima di tutto, economico. Per una qualunque azienda è meglio avere più clienti, magari più piccoli, che uno solo ma determinante. C’è una convenienza, poi, nel cercare condizioni d’investimento buone e opzioni per lo sfruttamento dei giacimenti che siano meno costosi. In una situazione di forte logoramento politico, poi, potremmo essere noi, a quel punto, a decidere di disinvestire dalla Russia. È bene essere pronti, avere altri buoni contratti e relazioni. C’è quindi un elemento economico ed uno politico prudenziale.

La Cina ha firmato un accordo con la Moldavia per il prestito di un miliardo di dollari, dietro l’impegno di sottoscrivere tutti gli investimenti atti allo sviluppo economico del paese. Punta a creare un cuneo di interposizione alla penetrazione Usa verso est?

La Cina ha l’interesse a diventare un mercato alternativo alla Russia senza inimicarsela. Si è diretta in quei piccoli paesi in cui poteva esercitare una pressione forte. In una strategia di lungo periodo, quando si arriverà ad una domanda crescente di petrolio legata allo sviluppo dei paesi emergenti, sarà conveniente per il colosso asiatico estrarre petrolio in un’ottica differenziata. C’è una strategia di rastrellamento dal mercato di tutte quelle posizioni interessanti sul lungo periodo, che vanno considerate nel complesso: quello che dice della Moldavia va detto ugualmente degli investimenti che la Cina sta facendo in Africa o in Canada.

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