Ancora un poco e cadrà anche l’ultimo tabù: si parlerà dei siti per le future centrali nucleari italiche. Forse non si faranno ancora nomi (i comuni), ma solo cognomi (le aree). Ma è certo che giornali e televisioni ne avranno a sufficienza da mettere in prima e da riempire i dossier alle pagine interne. Il che potrebbe anche avere qualche risvolto positivo: magari ci distoglieranno dalla morbosa attenzione ai troppi reality del momento.
Ne hanno parlato di recente quotidiani nazionali e specializzati: il governo, con il ministero di Scajola in prima linea, sta lavorando di buona lena alla stesura di quei decreti attuativi che sono il passo indispensabile per iniziare a muoversi dalle “dichiarazioni” (la recente legge sviluppo n. 99 del 23 luglio scorso) alle “implementazioni”. Uno dei più attesi è quello relativo alla disciplina dei siti per centrali nucleari, depositi di rifiuti radioattivi e fabbriche di combustibile e delle compensazioni ai territori che li ospiteranno.
Ma andiamo per gradi. Dopo la legge che ha sancito il diritto dell’Italia a ritornare a “pensare nucleare”, i primi movimenti sono stati la nascita della joint-venture Enel-Edf per lo studio di fattibilità dei reattori Epr nella penisola, la nomina dei commissari di Sogin per avviare la riconfigurazione della società, che dovrà verosimilmente trasferire parte del personale e delle attività ad Ansaldo Nucleare la quale fungerà da polo di riferimento industriale sul nucleare, infine la nomina dei commissari di Enea. Nel frattempo, Finmeccanica deve giocare una doppia partita, aprendo il canale di collaborazione con Edf-Areva e consolidando i rapporti storici con il partner statunitense Westinghouse (Scajola sarà a fine mese negli Usa), cercando nel contempo quella utility con pedigree nella gestione di centrali nucleari, che potrebbe rendere praticabile una cordata complementare a quella di Enel-Edf.
I prossimi passi saranno l’istituzione e l’avvio dell’Agenzia di Sicurezza Nucleare, con la relativa nomina dei 5 commissari, ma soprattutto la definizione di criteri, procedure, strutture e tempi per la scelta e l’operatività dei siti che dovranno ospitare le centrali ed il deposito dei rifiuti radioattivi. Inutile rilevare quanto quest’ultimo sia uno dei temi più sensibili per l’opinione pubblica e per gli aspetti politici connessi. Almeno, così ci si attende.
Non è ancora chiaro quale linea sceglierà il governo. Al recente Meeting di Rimini, Scajola aveva lasciato intendere il perseguimento di una strategia interessante: non entrare sul terreno minato dei nomi dei comuni dove si potrebbero realizzare gli impianti, bensì indicare le aree dove certamente non si potranno costruire. Lavoro più facile, una volta individuati i criteri generali, perché sarebbe agevole eliminare le aree “limite” (zone montane, aree protette, vicinanza ai grandi centri urbani et similia), lasciando praticamente tutto il resto del territorio italiano potenzialmente idoneo. Soprattutto lasciando ai diretti interessati (le utilities) l’onore e l’onere di dimostrare la validità tecnica dei siti da loro selezionati, nonché di confrontarsi e concordare col territorio le modalità dell’insediamento e le sue compensazioni. Questo approccio non pare azzardato, se si considera che dal punto di vista tecnico sono pochi i vincoli che rendono veramente “impossibile” un sito: si pensi infatti alle decine di impianti funzionanti in Giappone, terra molto più sismica dell’Italia, od alle centrali in esercizio in alcuni territori aridi nel sud degli Usa.
Nella bozza di decreto legge che dovrà vedere la luce entro il 15 febbraio, alcuni commentatori intravvedono invece un diverso avvio del processo: verrebbe emessa una prima lista di aree idonee, integrabile successivamente su richiesta e con indicazione di nuovi siti da parte dei futuri operatori (le utilities o i relativi consorzi). Ovviamente nella lista preliminare ricadrebbero le aree dove sorgono attualmente le centrali dismesse e dove avrebbero dovuto nascere gli impianti previsti negli anni ’70. Montalto di Castro sarebbe quindi compresa. Ma anche le aree previste dallo studio del Cnen e dell’Enea-Disp del ‘79? Forse andrebbe aggiornato. Verrebbero inclusi anche siti appartenenti al demanio militare. Le aree sono molte ma non è irragionevole pensare in primis alla Sardegna. Come verranno assegnate le aree, se non sono già di proprietà dell’operatore? Saranno vendute? Rimarrebbe comunque la scelta di lasciare agli operatori la parte più impegnativa della verifica tecnica e dell’accordo con il territorio. Da altre parti, in Francia ad esempio, ma anche in Finlandia, i comuni si contendono il diritto di ospitare una centrale nucleare: lo sviluppo economico, industriale, formativo e le ricadute occupazionali sono motivi sufficienti per l’interesse, oltre ovviamente alle compensazioni dirette. Sarà così anche da noi?
Una nota conclusiva: la scadenza per l’emissione del decreto legislativo potrebbe coincidere con la settimana del prossimo Festival di Sanremo. Faremmo volentieri a meno di qualche “stecca esibizionistica”.