Per tre secoli la Russia ha tentato di accedere al Mediterraneo e per tutto questo tempo le potenze europee tradizionali, Francia e Gran Bretagna, glielo hanno impedito. Gli Stati Uniti, diventati di fatto anche potenza europea alla fine della seconda guerra mondiale, hanno ereditato questa politica strategica.

Oggi, a 17 anni dalla fine dell’Unione sovietica e dopo un breve periodo di luna di miele, la Russia oscilla tra inferno e purgatorio per gli Usa, per tanti motivi. Gli Stati Uniti pensano che certi atteggiamenti ambigui di Mosca in ambito internazionale siano all’origine di problemi strategici come l’Iran. Con la guerra in Iraq e il rialzo del prezzo dell’energia, la Russia aveva assunto toni tracotanti sia all’interno che all’esterno. All’esterno gli Usa e gli stati europei ex sovietici sono preoccupati dalle pressioni continue di Mosca sull’Ucraina o sulle repubbliche caucasiche, le polemiche sulle istallazioni di missili in Polonia, tutte azioni che paiono come la riaffermazione di una sfera di influenza per tornare a ristabilire i confini della vecchia Urss. All’interno c’è poi la svolta autocratica contro il dissenso interno.



Le azioni, esterne e interne, possono essere giustificate per mille ragioni, ma di fatto ricreano una politica assertiva da parte di un paese che ancora oggi è l’unico al mondo con un potenziale atomico teorico in grado di distruggere gli Stati Uniti e tutti i suoi alleati. Inoltre, nel periodo di grandi difficoltà americane nella guerra in Iraq, con il rialzo dei prezzi dell’energia, Mosca ha cercato di usare la sua energia come “arma strategica” in Europa, andando a caccia di amici tra i vari stati e anche all’interno dei vari stati, tra i diversi schieramenti politici. In questo senso ha contribuito a spaccare l’unità atlantica ed un consenso europeo. L’Europa unita e poi il suo allargamento a est erano azioni pensate in funzione anti sovietica prima e di contenimento della Russia dopo. Ma Mosca ha abilmente usato la sua nuova politica estera e le forniture di energia per spaccare questo fronte cercando di ottenere consensi in Germania, Francia e Italia e altri paesi europei minori.



In questo contesto arriva il progetto del gasdotto South Stream, pensato dopo e in competizione con il progetto di gasdotto americano di Nabucco. Nabucco dovrebbe portare gas e petrolio dal Centro Asia (repubbliche ex sovietiche) e dal Caucaso direttamente in Europa attraverso la Turchia, senza passare dalla Russia. Il progetto è chiaramente un ulteriore sforzo di contenimento della Russia, perché fornisce una via di fuga diretta per nuovi mercati a repubbliche ex sovietiche liberandole da una cordone ombelicale con Mosca. Nabucco crea un nuovo grande accesso a forniture da parte dell’Europa, che riceverebbe energia da 1) Africa e Medio oriente, paesi Opec, 2) dalla Russia e 3) dal Centro Asia e dal Caucaso. Con tre linee di fornitori i paesi europei (paesi consumatori) poi possono sperare di negoziare prezzi di forniture al ribasso.



Le implicazioni strategiche del progetto di Nabucco sono gravi, implicano una ulteriore rottura di rapporti con paesi ex sovietici che oggi ancora forniscono a Mosca energia a prezzi ribassati, mentre poi Mosca vende la sua energia in Europa a prezzi di mercato. Con Nabucco questo rapporto finirebbe. Nabucco rischierebbe di entrare in funzione tra alcuni anni, proprio quando i consumi interni di energia russa minacciano di superare la sua produzione e quindi farebbero passare la Russia a importatore netto di energia, cioè proprio quando la Russia avrebbe maggiore bisogno di energia a basso prezzo.

Di fronte alla sfida strategica di Nabucco, che è poi in linea con gli interessi americani e dei paesi europei, la Russia aveva due scelte. La più difficile era cambiare il suo “modello di sviluppo”, gradualmente abbandonare l’attuale sistema in cui oltre il 80% delle sue esportazioni sono di materie prime e il resto armi, e creare un’industria moderna. L’altra scelta, più facile, era quella di cercare di trovare una difesa del modello economico attuale basato sulla grande esportazione di energia e quindi della sua area di influenza, che allarga il bacino di materie prime da vendere.

La prima scelta era la più difficile e avrebbe tra l’altro comportato una rinegoziazione politica, forse umiliante, con gli Stati Uniti, e un riassetto fondamentale degli equilibri interni, la creazione di una classe di imprenditori piccoli e medi che oggi praticamente non esiste. La seconda era più facile, era la difesa degli assetti interni, il consolidamento di rapporti nell’area di influenza e l’esercizio di quello che oggi la Russia ha di meglio, la sua proiezione esterna verso l’Europa in azioni di influenza.

Da qui nascono i progetti di North Stream e South Stream. Il primo pensa a un gasdotto che salti l’Ucraina e arrivi in Germania attraverso il Baltico, un po’ secondo la rotta delle navi della antica Lega Anseatica; il secondo è un’idea completamente nuova che salta la Turchia e attraversa il Mar Nero e i Balcani per raggiungere l’Europa attraverso l’Italia o l’Ungheria. Incidentalmente, North Stream è presieduto dall’ex cancelliere tedesco Schroeder, South Stream ha il sostegno dell’Eni e del primo ministro italiano Berlusconi.

(1 – continua)