Il default del secolo? «Stiamo pagando lo scotto non tanto e non solo della crisi in quanto tale, ma di come la crisi è stata gestita». È severo con Barack Obama, Franco Debenedetti: come può il presidente sostenere in modo credibile che non ci saranno più salvataggi da parte dello stato, quando l’amministrazione ha fatto scelte contraddittorie, salvando e non salvando gli istituti a rischio? Non solo: facendo come ha fatto il governo ha dato una grossa mano alla crisi, legittimando prassi di moral hazard. Il buon proposito di evitare nuovi rischi sistemici c’è, ma non basta: tutto sta nel capire come fare e le proposte, per ora, sul piatto non ci sono.
A un anno dal default di Lehman Brothers, ha detto Obama nel suo discorso alla Federal Hall, «non torneremo ai giorni delle azioni sconsiderate e degli eccessi incontrollati alla base della crisi». Ci vogliono le riforme, ha detto, per impedire a una crisi come questa di ripetersi.
Credo che Obama abbia ragione. Non per i motivi che ha detto, però. Il discorso riduce tutto ai rapporti tra Wall Street e Washington. Servirebbe invece adottare una logica più sistemica, e riconoscere che stiamo pagando lo scotto non tanto e non solo della crisi in quanto tale, ma di come la crisi è stata gestita.
Che cosa intende dire?
C’erano due soluzioni “pulite”. Una era quella del fallimento: gli azionisti perdono i loro soldi, il management viene cacciato, i bilanci vengono puliti. Questa è la soluzione di mercato. L’altra soluzione era quella di governo, che consiste nella nazionalizzazione delle banche: anche lì gli azionisti perdono, il management viene sostituito, si decide se e in che misura rimborsare gli obbligazionisti, e poi, rapidamente, il governo rivende le banche ripulite al mercato. È la soluzione svedese.
Il governo Usa però non ha seguito né l’una né l’altra stada…
Infatti. Mi rendo perfettamente conto che sono soluzioni limite, in qualche misura astratte. Le procedure fallimentari, anche negli Stati Uniti, hanno tempi incompatibili con la necessità di fermare la frana in tempi di giorni se non di ore; e i governi non hanno le risorse umane e le competenze per gestire banche, e quindi devono per forza ricorrere ai medesimi manager. Inoltre la nazionalizzazione presenta il pericolo che ci sia qualcuno che ci pigli gusto, che le banche non vengano più restituite al sistema privato e che quindi si finisca in un sistema di banche pubbliche. Noi italiani ne sappiamo qualcosa. Si é inondato il mercato di liquidità: l’incendio è stato spento, le banche ricominciano a guadagnare, ma la qualità degli attivi dei loro bilanci è in buona parte quella di prima.
Abbiamo visto pesi e misure differenti: Lehman è stata lasciata fallire, mentre il colosso delle assicurazioni Aig, per esempio, è stato salvato.
Obama, quando dice che nessuno dovrà più illudersi che ci siano salvataggi da parte dello stato, come può pretendere di essere creduto? Con l’eccezione di Lehman, l’amministrazione Usa non ha fatto mancare a nessuno il sostegno diretto o indiretto, esplicito o implicito. Ha legittimato l’azzardo morale: e adesso dice che non lo farà più? Eliminare il problema alla radice, impedendo sul nascere che si formino situazioni che presentano rischi sistemici é un buon proposito, ma chi vigilerà e lancerà l’allarme? Avrà la visione per individuarli, e i poteri per smontarli?
Il presidente ha garantito una svolta. «Il lavoro di recupero prosegue – ha detto – le tempeste dei due anni passati stanno iniziando a calmarsi».
Sarebbe masochista non riconoscerlo. Ma sarebbe compiacente non essere avvertiti dei pericoli che hanno prodotto proprio le misure di contrasto della crisi, cioè la massa di danaro con cui si è inondato il mercato. Quanto alle misure per “non tornare alle misure sconsiderate”, per citare la fase di Obama, le proposte che si fanno sono anche giuste, ma o non sono molto efficaci, o sono difficili da applicare. Ad esempio: chi devono essere i nuovi supervisori? Una sola o più autorità?
Joseph Stiglitz ha detto che Wall Street è ancor più fragile, perché le banche sono più grosse di un anno fa e le regole ancora non ci sono. È così?
Ha ragione anche lui: se ci sono banche “too big to fail” nessuno crederà che lo stato non interverrà a salvarle. E poi, quando é che una banca diventa troppo grossa? Lehman non era tra le più grosse, e Aig non era neppure una banca. Cosa vuol dire che non ci deve essere un rischio sistemico? Giustissimo, ma in base a che cosa si valuta se c’è un rischio sistemico oppure no? Ci vuole una strategia per gestire le emergenze, dice il governo. Benissimo. Quale? Anche perché le emergenze hanno la pessima abitudine di non presentarsi due volte nello stesso modo.
Esiste un provvedimento per ridurre i rischi sul quale c’è un consenso unanime: quello di aumentare i requisiti patrimoniali delle banche.
Ottimo, ma intanto diamo alle banche dei messaggi contraddittori: da un lato diciamo loro di aumentare gli impieghi, di prestare più soldi, dall’altro di ridurre la leva. Diciamo che devono rafforzarsi e le rimproveriamo se ricominciano a guadagnare. Il Fmi ha calcolato che per arrivare ai rapporti di patrimonializzazione di metà anni ’90 ci vorrebbero a livello mondiale 1700 miliardi di dollari. Alla fine l’unica cosa sulla quale ci si trova facilmente d’accordo è di mettere un tetto agli stipendi dei banchieri.
Lasciamo tutto così com’è, compresi i superbonus?
Alcuni bonus erano e sono scandalosi, l’indignazione è giustificata. Riportarli alla decenza è legittimo, anche se non lo sono tutti i mezzi proposti. L’importante è non pensare che siano stati i bonus la causa della crisi, e che quindi ridurli serva a evitare crisi future. Un discorso analogo vale per gli impieghi: vogliamo che Passera guadagni di meno o che vengano dati prestiti alle aziende che lo meritano e che possono restituirli?
A un anno dal crack secondo lei prevalgono i fattori di sofferenza – i fallimenti che continuano per le banche regionali più piccole, o i titoli tossici ancora in possesso della Fed per esempio – o i segnali positivi?
Sicuramente ci sono segnali positivi. Ma i problemi non sono stati risolti. E il pericolo che con l’inondazione di capitale immesso nel sistema si crei un’altra bolla è reale.
(Federico Ferraù)