Vi sono dei momenti nella storia che segnano discontinuità così profonde, da richiedere una revisione (talvolta una rivoluzione) dei modelli di interpretazione adottati dalla cronaca prima e dagli studiosi poi. Assistere al passaggio di Armageddon nel mondo della finanza, essere testimoni dello sfascio indotto nell’economia reale e far finta di nulla, continuando a mantenere vivi, ad applicare degli standard creati in laboratorio, in un ambiente protetto e sterile, è semplicemente folle. L’adozione incondizionata e acritica degli Ias-Ifrs e l’implementazione del fair value, insieme ai dispositivi previsti da Basilea 2 per le banche, fanno parte della follia…
Recentemente in particolare abbiamo tutti assistito a un proliferare di dichiarazioni e di proposte sui requisiti operativi introdotti dall’accordo conosciuto con il nome di Basilea 2. Si tratta, in realtà, solo di un ritorno alla carica su un tema sul quale si è sovente dibattuto, e che è ritornato di forte attualità negli incontri istituzionali recentemente succedutisi.
Gli argomenti di dibattito comune si concentrano sulla disamina degli “effetti impropri” di Basilea 2: le difficoltà di reperire capitale nei periodi di stress finanziario; la penalizzazione del finanziamento alle piccole e medie imprese che, in particolare nel nostro paese, rappresentano il tessuto produttivo preponderante; le criticità per gli istituti di credito di dotarsi di strumenti di rating efficientinella valutazione del merito creditizio.
Procediamo con ordine, partendo dagli elementi di innovazione regolamentare introdotti da Basilea 2. L’accordo è stato sottoscritto dal Comitato di Basilea, costituito dai governatori delle banche centrali dei dieci paesi più industrializzati, ed è entrato in vigore all’inizio del 2007. Nel nostro paese ha visto maturare i suoi effetti a partire dal primo gennaio 2008, in seguito allo sfruttamento della deroga prevista dalla direttiva comunitaria 2006/48/Ce.
Il suo contenuto si articola su tre pilastri: requisiti patrimoniali minimi; controllo prudenziale delle banche centrali; disciplina del mercato e trasparenza. Già nel primo accordo, ora conosciuto con il nome di Basilea 1, si riconosceva l’esigenza di porre dei vincoli patrimoniali all’erogazione di credito da parte delle banche. Tale documento fissava l’obbligo per gli istituti di credito di accantonare riserve a garanzie dei rischi assunti, nella misura dell’8% del capitale erogato. Un principio di sano buon senso, affinato ulteriormente dalle previsioni del nuovo accordo, in base al quale il patrimonio da accantonare non deve essere più legato a un coefficiente fisso ma diviene funzione di variabili come il rating, espressione della rischiosità della controparte.
È facile intuire l’obiettivo ispiratore di Basilea 2: attivare un circolo virtuoso tra gli operatori del sistema finanziario e accrescere nei soggetti che erogano credito la capacità di valutare e di monitorare il rischio. E come perseguire questo nobile obiettivo? In estrema sintesi, aumentando la sensibilità degli operatori verso il contenimento del rischio attraverso l’introduzione di automatismi nella valutazione del merito creditizio dei prenditori di capitale. Date queste limpide premesse, cosa non ha funzionato? Perché oggi esponenti del mondo imprenditoriale e istituzionale sono concordi nel chiedere la revisione di alcuni aspetti della normativa?
Certamente alcuni punti dall’accordo di Basilea 2 necessitano di essere rivisti. La forte connessione fra la componente bilancio, il merito creditizio degli operatori e le condizioni di accesso al credito, rischia di essere fin troppo penalizzante in momenti di congiuntura economica negativa. Si tratta degli effetti “prociclici” di Basilea 2, che, durante i cicli economici negativi, induce le banche a ridurre gli impieghi a causa dell’aumento del rischio cui sono collegati, e imbriglia le imprese, che hanno possibilità di accesso al credito solo a condizioni troppo onerose. È bene notare che anche in situazioni di cicli economici fortemente espansivi, una normativa così strutturata rischierebbe di provocare danni al sistema, per la forte offerta di credito che ne deriverebbe a fronte di rating oltre modo positivi.
Questi fenomeni mettono in risalto un aspetto sul quale è necessario opportunamente intervenire: l’eccessiva rigidità e burocratizzazione dei modelli proposti dall’accordo, incapaci nella modalità in cui sono stati concepiti, di adattarsi alle peculiarità dei cicli economici. D’altro canto, l’accordo di Basilea 2 ha cominciato a produrre i suoi effetti quando segnali evidenti della crisi finanziaria si erano già manifestati. È giusto, quindi, ragionare su cosa sia opportuno correggere della normativa, ma decisamente eccessivo imputare alle nuove regole la responsabilità dei crack finanziari.
Per quanto concerne la relazione fra Basilea 2 e piccole e medie imprese, il timore è che le nuove normative introdotte possano fortemente limitare le possibilità di accesso al credito di queste ultime. A parità di condizioni, la relazione diretta tra rating interno, espressione della rischiosità dell’operazione di erogazione del capitale, e le condizioni di pricing applicate al finanziamento, genererebbe un effetto di carattere restrittivo nei confronti soprattutto delle Pmi, in quanto caratterizzate da minore qualità creditizia. Questo aspetto determinerebbe una compressione delle capacità di indebitamento, con un notevole impatto sugli investimenti potenzialmente effettuabili. Preme dirlo, anche le banche devono confrontarsi con il rischio nella concessione di un prestito e in un’economia di mercato è logico aspettarsi che le condizioni di economicità e profittabilità siano alla base delle loro considerazioni.
Data l’attualità del tema, non è ancora possibile abbozzare conclusioni esaustive sugli effetti della normativa. Gli ultimi dati disponibili relativi all’Italia analizzano il mese di luglio 2009. Secondo quanto emerge dall’ultimo supplemento al Bollettino statistico di Banca d’Italia, la crescita dei prestiti alle imprese si è attestata al +1,3%. Tale incremento si confronta con il +2,4% del mese di giugno 2009 e con un incremento annuo dell’11,3% registrato nel luglio 2008. È utile sottolineare che il basso aumento attuale si confronta con un dato di luglio 2008 particolarmente elevato, e che la crescita a due cifre dell’indicatore si è arrestata a partire da ottobre 2008.
Di certo, senza opportuni accorgimenti alla normativa, è lecito aspettarsi un inasprimento delle condizioni di accesso al credito per le pmi, soprattutto quando gli indicatori di qualità creditizia si misureranno con i bilanci del 2009, in cui l’impatto della stretta economica sarà ancor più evidente. In tale contesto rientra la lettera congiunta che Emma Marcegaglia, presidente di Confindustria, e Hans Peter Keitel, il suo omologo tedesco, hanno recentemente inviato alla presidenza dell’Unione Europea, chiedendo interventi tempestivi a difesa delle pmi nei rispettivi paesi.
D’altronde non sarebbe il primo esempio di “adeguamento” degli aspetti normativi di Basilea 2 al tessuto economico nazionale. È la logica infatti perseguita, sin dall’introduzione della normativa, dalla Spagna e dal Canada. Tali paesi hanno adottato Basilea 2 prevedendo accantonamenti maggiori di capitale in periodi di crescita economica, su cui poi far leva in periodi di crisi, attenuando, di fatto, la prociclicità della normativa.
La sfida principale dei prossimi mesi sarà, difatti, apportare maggiore flessibilità alla norma. L’obiettivo è cercare di allacciare le dinamiche che sottendono i processi di assegnazione del rating alle aziende, alla contingenza del periodo, attraverso un procedimento di indicizzazione alla realtà economica. Sarebbe opportuno inoltre, nel valutare la qualità creditizia, dare peso alle prospettive e ai piani di sviluppo delle imprese in modo che la selezione sia fondata anche su elementi caratteristici della singola realtà oggetto di valutazione e non soltanto sui valori di consuntivo. Anche questi meccanismi di valutazione rientrerebbero in un processo valutativo trasparente, così come prescritto dalla norma, senza naturalmente che si ceda oltre i limiti alla discrezionalità.
Dunque sarà necessario affinare ma non abolire le normative introdotte, poiché se è possibile discutere di quali accorgimenti dotare la norma, è certo che un ritorno al passato, che seguirebbe l’abolizione di Basilea 2, non rappresenta la soluzione migliore. Viva le regole e gli standard dunque, ma applicati cum grano salis.