Non è corretto usare i dati nello stesso modo in cui gli ubriachi si servono dei lampioni: per appoggiarvisi e non per fare luce.

Eppure, siamo convinti che i dati forniti dal presidente-commissario dell’Inps, Antonio Mastrapasqua, daranno lo spunto per nuove polemiche sullo sfascio dell’azienda Italia e su quella “quarta settimana” che in tanti non riuscirebbero a vivere dignitosamente.



Va detto subito che 980mila pratiche di disoccupazione non significa che vi siano in Italia quasi un milione di disoccupati in più. I dati del processo produttivo delle strutture dell’Inps vanno sempre assunti con grande cautela, in quanto è possibile che vengano svolte più pratiche, in un anno, per le medesime persone. I dati delle pratiche, poi, possono riferirsi a periodi diversi, rispetto ai quali non è corretto imputare – in termini di competenza – le prestazioni al momento della liquidazione, soltanto perché gli aspetti amministrativi si sono conclusi in ritardo.



Le statistiche dell’Inps danno poi un’altra indicazione: il sistema di protezione sociale ha tenuto, pur con tutti i suoi difetti. Con la cig in deroga il Governo ha consentito che le imprese non assumessero decisioni dettate dallo shock dei primi mesi dell’anno sul terreno dell’occupazione. L’incremento esponenziale della cig è anche una conseguenza dell’allargamento della platea degli aventi diritto attraverso, appunto, la sua estensione agli esclusi. Se fosse passata la linea della sinistra che tendeva a concentrare sulla disoccupazione almeno 5 miliardi di euro il segnale dato alle imprese sarebbe stato devastante: quello del licenziamento.



 

Come avrebbero potuto agire diversamente le aziende se il Governo si fosse preoccupato di sostenere chi perdeva il posto di lavoro, anziché conservare il più a lungo possibile il rapporto di lavoro attraverso la cassa integrazione? Nessuno può onestamente sostenere che ci sarebbero state risorse sufficienti a finanziare tutto: una cassa integrazione guadagni aperta a tutti i dipendenti ed una indennità di disoccupazione di carattere universalistico erogata anche al vasto mondo dei precari, degli stagionali e quant’altro.

 

Infine, va fatto notare che il bilancio dell’Inps non solo ha tenuto, ma si chiuderà con un importante avanzo di quasi 4 miliardi nonostante lo stress a cui è stata sottoposta la gestione delle prestazioni temporanee (cig, disoccupazione, ecc.) che da almeno venti anni è una delle galline delle uova d’oro dell’Ente e che contribuisce, con i suoi avanzi, all’equilibrio del bilancio oppresso dai deficit di talune gestioni pensionistiche. Un’ultima considerazione va fatta a proposito dell’annuncio che, nel 2010, il numero dei trattamenti di anzianità crescerà di quasi il 50% (176mila a fronte delle 118mila del 2009). In molti si chiederanno il perché, visto che nell’anno in corso il calo di questa tipologia di prestazioni (la scabbia del sistema pensionistico) era stato spiegato con la scelta dei lavoratori di restare volontariamente al lavoro per contrastare meglio gli effetti della crisi sui loro redditi.

 

Niente di tutto ciò. Non c’entra nulla questo sociologismo d’accatto. Nel 2009 le pensioni di anzianità sono diminuite perché a luglio sono entrati in vigore requisiti anagrafici più severi (il primo step del sistema scalino + quote). Dal momento che nel 2010 le regole non cambieranno fino al 1° gennaio del 2011 ecco che gli aventi diritto non esiteranno a precipitarsi in pensione. In verità, sono le norme a condizionare le persone e i loro comportamenti più o meno “virtuosi”. Il resto appartiene a quell’esile sostanza di cui sono fatti i sogni.