Partecipazione agli utili delle aziende, credito e sostegno alle imprese da parte delle banche, disoccupazione sono i nodo cruciali di questo scorcio d’estate. E sullo sfondo, a far da cornice, sempre la crisi. Di tutto questo ilsussidiario.net ha parlato con Agostino Megale, segretario Confederale della Cgil.

Il ministro Tremonti, al Meeting di Rimini, ha proposto di rendere possibile ai lavoratori di partecipare degli utili aziendali. Qual è la sua opinione in merito?



Siamo nella crisi più profonda dal dopo-guerra. Altri Paesi come Francia, Germania e Stati Uniti evidenziano i primi segnali di possibile ripresa, mentre in Italia il calo tendenziale del Pil, per il 2009, si attesta a meno 6 punti, e circa 800mila, un milione di posti di lavoro (tra cui quelli di 640mila giovani sotto i 35 anni) saranno a rischio entro metà 2010. In questa situazione, l’ipotesi di Tremonti necessita di molte precisazioni.



Per esempio?

Il primo coinvolgimento del sindacato, intanto, consiste nella gestione della crisi e della cassa integrazione. Ciò in cui non vorremo essere coinvolti – ma spesso dobbiamo fare i conti anche con questo – è la “socializzazione delle perdite”. Ma se ragioniamo, per il futuro e in un contesto di ripresa economica, su forme di partecipazione che – assieme all’istituzione dei consigli di sorveglianza – per medie e grandi imprese prevedano la possibilità di partecipare agli utili, su questo non c’è nessuna pregiudiziale ideologica da parte nostra. Evitiamo però di parlare di utili quando non ce ne sono. Perché, anzitutto, bisogna rimettere in moto l’economia e tornare a produrre ricchezza.



Come valuta lo stato di salute delle nostre imprese?

 

Il sistema bancario italiano, che ha retto meglio rispetto a quello di altri Paesi, dovrebbe riflettere attentamente sul grido d’allarme lanciato, non solo da noi, ma anche da Confindustria, quando abbiamo paventato un milione di piccole imprese a rischio chiusura, il 25 per cento del totale. Ne deduco, quindi, che la tensione creditizia non ha visto allentare la morsa verso i rientri, gli affidamenti e i fidi bancari per le piccole imprese. Che, anzi, molto spesso sono state costrette ad allentare gli investimenti o chiudere. Le banche non si stanno muovendo con l’attenzione necessaria. Vorrei proporre una forma di monitoraggio per verificare se – in quest’anno di crisi in cui i tassi, a livello europeo, sono scesi – i tassi d’interesse siano scesi anche per le famiglie, specie per quelle a reddito basso. Credo, invece, che in qualche caso siano aumentati.

In Italia la disoccupazione giovanile è al 25%. Non è un dato confortante.

Questa è una società che punisce i giovani. Molti laureati non solo trovano un lavoro flessibile e precario; spesso sono anche i primi a esser spazzati via dalla crisi. Sono i soggetti più a rischio. Siamo al primo posto nell’Europa dei 15 per tasso di disoccupazione tra i giovani sotto i 35 anni. Non hanno cassa integrazione né altri strumenti di tutela. Con il bonus introdotto dal governo per i collaboratori, mediamente di 150 euro al mese, poi, sfido chiunque a vivere senza il sostegno dei genitori.

Cosa propone la Cgil?

La prima cosa da fare è estendere l’indennità di disoccupazione anche ai giovani collaboratori, o a chi lavora in partita Iva, innalzandola almeno al 60% del salario percepito. Non è più possibile che chi lavora con queste forme contrattuali non abbia alcuna forma di tutela. E in attesa che arrivi una legge che definisca quale debba essere il loro compenso, è necessario che i contratti nazionali del lavoro definiscano una sorta di salario minimo contrattuale che abbia come principio il fatto che, essendo flessibili, devono guadagnare di più dei lavoratori stabili. Non si può essere precari e al contempo guadagnare meno degli altri.

Confindustria, Cisl e Uil, ad aprile, hanno firmato l’accordo attuativo della riforma del modello contrattuale, senza la Cgil. Ora vi sedete al tavolo delle trattative per rinnovare il contratto dei metalmeccanici. Si tratta di un inversione di rotta?

Le ragioni per cui, allora, non abbiamo sottoscritto l’accordo separato sono note: primo, non tutelava il salario reale dall’inflazione reale; secondo, prevedeva deroghe contrattuali ai diritti e ai salari; terzo, non prevedeva l’allargamento e l’estensione della contrattazione decentrata. Ebbene, ad oggi non esiste da parte nostra un atteggiamento ostile al negoziato. Inoltre ci sono piattaforme unitarie presentate per il rinnovo dei contratti, uguali nei contenuti, differenziate solo nel caso dei meccanici. Crediamo che le divisioni del sindacato, specie durante la crisi, non aiutino né i lavoratori né il Paese. Bisogna chiudere tutti i contratti aperti, sapendo che gli obiettivi indicati allora valgono anche per quanto riguarda i rinnovi contrattuali.

Quali sono le vostre priorità per l’autunno, quando anche il mondo politico riprenderà la propria attività a pieno regime?

Vogliamo che il governo dica sì alla richiesta di avviare un tavolo per gestire la crisi, dando vita ad una task force che governi l’emergenza occupazionale, con l’impegno di evitare licenziamenti. Le imprese e i lavoratori devono, insieme, dettare le condizioni per lo sviluppo dell’occupazione, dalla riforma degli ammortizzatori fino ad una politica fiscale che riduca le tasse sul lavoro. Il Paese deve uscire dalla crisi e diventare capace di stare al passo col resto d’Europa. Queste sono le priorità.

Ma sono anche le priorità della maggioranza.

A parole. Altro che rincorrere la Lega sulle gabbie salariali, altro che gli atteggiamenti xenofobi verso gli immigrati e l’intimidazione verso gli organi di stampa e la libertà d’informazione. Noi vogliamo dar vita non solo ad un’azione politica e sociale, ma anche culturale all’insegna di un Paese in cui sia garantita la libertà d’informazione e non ci siano reticenze a dire che la Lega, col suo populismo, inganna proprio gli operai del Nord, promette cose che non si realizzano e fomenta solo la spaccatura del Paese. Si tratta di un progetto sociale, ma anche di una grande idea: che, nell’affrontare la crisi, pone al centro l’unità del Paese e la difesa del lavoro.