La recente pubblicazione del volume “I fondi sovrani” di Alberto Quadrio Curzio e Valeria Miceli nella collana “Farsi un’idea” de Il Mulino richiama la nostra attenzione su soggetti che possono rappresentare nel contempo, come rileva il sottotitolo del volume stesso, opportunità e rischi per gli equilibri del sistema economico-politico-istituzionale mondiale.



Gli autori ci ricordano che si tratta di “fondi di investimento di proprietà statale che gestiscono portafogli di attività finanziarie, in parte denominate in valuta estera, derivate dalla vendita di petrolio e altre materie prime o da surplus valutari della bilancia commerciale” (pag. 7), che si concentrano soprattutto nel Medio Oriente (40%) e in Asia (37%, in particolare in Cina) e, almeno per quanto riguarda i paesi produttori di materie prime, hanno lo scopo dichiarato di diversificare il rischio rispetto agli andamenti ciclici dei prezzi delle materie prime stesse e di trasferire ricchezza per periodi e generazioni future. Secondo le stime più prudenti già oggi hanno attività per più di 3.300 miliardi di dollari, cioè, per dare un ordine di grandezza, investono risorse per un ammontare paragonabile al Pil della Germania. Sono dunque soggetti che hanno un peso e, almeno in potenza, una capacità di influenza formidabile, ma che in molti casi hanno grossi limiti in termini di trasparenza di obiettivi e sistemi di governance e spesso fanno capo a Stati con ordinamenti non democratici, quando non autocratici o dittatoriali.



Il volume, che per finalità dichiarate e collocazione editoriale risulta idoneo alla fruizione anche da parte di un pubblico di non addetti ai lavori, offre una documentata e molto interessante panoramica sul fenomeno, sui suoi attori più rappresentativi, sulle implicazioni geoeconomiche e geopolitiche e sulle strategie di risposta da parte dei maggiori Stati destinatari degli investimenti dei fondi sovrani e delle istituzioni internazionali. Trai molteplici spunti di riflessione che derivano dalla lettura, mi sembra in questa sede utile cercare di elaborare su tre questioni.

La prima riguarda la natura e le caratteristiche strutturali dei fondi sovrani, che, in questo periodo di crescente sfiducia nelle capacità taumaturgiche del mercato quale meccanismo onnipotente di individuazione della soluzione efficiente per ogni problema, ne sottolineano le criticità. L’azione dei fondi sovrani è, infatti, esplicitamente orientata al perseguimento di interessi nazionali attraverso la proprietà statale degli asset in portafoglio, la loro dimensione corrisponde ad investimenti compatibili se non con una partecipazione diretta nelle attività dei soggetti finanziati almeno col tentativo di esercitare influenza su di essi, la prospettiva da essi privilegiata è quella di lungo periodo.



Abbiamo dunque di fronte soggetti che sono veri e propri coaguli di potere nel fluido del mercato, che ci richiamano al fatto che la nazionalità della proprietà degli asset, il potere di influenza e, più in generale, il riconoscimento che l’ordine economico internazionale non è e non può essere affidato ad un coordinamento spontaneo prodotto solo dal mercato con logiche di breve periodo non sono il retaggio del passato, ma essenziali complementi di una visione realistica del presente.

La seconda questione sulla quale cogliamo lo stimolo alla riflessione del volume di Quadrio Curzio e Miceli riguarda i potenziali pericoli derivanti dall’attivismo dei fondi sovrani. In sintesi, questi soggetti dotati di mezzi finanziari straordinari potrebbero cercare di utilizzarli per distorcere la concorrenza a vantaggio dei loro interessi nazionali, per ottenere indebiti vantaggi politico-strategici sullo scacchiere internazionale o direttamente per acquisire il controllo di aziende che potrebbero vedere di fatto trasferire il loro quartier generale presso governi non democratici.

Gli autori rilevano che non risultano ad oggi tentativi evidenti di uso improprio del potere da parte dei fondi sovrani, ad eccezione di alcuni casi di azioni guidate da criteri politici o che hanno provocato instabilità o disordini, per lo più connesse all’attività di fondi cinesi e di Singapore. A questi ultimi aggiungiamo comportamenti di aziende russe a controllo statale, diretto o indiretto, che non sono confortanti sulle prospettive di azione dei fondi, di recente costituzione, di quel paese. Inoltre, anche laddove l’abuso di potere non è manifesto, potremmo non osservare l’uso della forza, perchè la mera minaccia è sufficiente.

A fronte di questi timori, accanto a reazioni normative cautelative da parte di diversi Stati, in campo internazionale la richiesta unanime è quella di maggior trasparenza, perseguita principalmente attraverso i tentativi di definizione di standard da parte delle istituzioni internazionali e in particolare del Fondo Monetario Internazionale.

Nell’associarsi a questa richiesta, gli autori del volume non mancano però di riprendere la proposta avanzata dallo stesso Quadrio Curzio per la costituzione di un Fondo Sovrano Europeo. Nella convinzione che le regole possano ordinare l’esercizio del potere, ma che le forti concentrazioni del potere stesso trovino spesso il modo di aggirare i vincoli formali, tale proposta sembra condivisibile, giacché supera con il realismo, e senza demonizzare natura ed intenzioni degli interlocutori, preclusioni ideologiche basate su fondamentalismi mercatisti.

La terza e conclusiva riflessione riguarda, sul versante opposto a quello dei timori, la possibilità di “cattura” dei fondi sovrani da parte dei paesi sviluppati destinatari dei loro investimenti, che potrebbero essersi, almeno finora, avvantaggiati, drenando risorse dai paesi di origine. A questo proposito Quadrio Curzio e Miceli ricordano che importanti investimenti dei fondi sovrani hanno dato fiato a molti soggetti finanziari nell’occhio del ciclone della crisi di questi anni e, più in generale, che il prevalente orientamento verso attività estere di molti fondi, giustificato dal fine di differenziare il rischio, ha di fatto sottratto risorse allo sviluppo interno.

Per la teoria i rendimenti degli investimenti reali dovrebbero risultare maggiori nelle economie la cui dotazione di fattori è più scarsa e dovremmo dunque osservare flussi di investimento dai paesi sviluppati verso quelli in via di sviluppo in cerca di rendimenti più elevati. Se questo non è, una possibile, e senza dubbio parziale, interpretazione è che il susseguirsi di bolle speculative finanziarie nelle economie sviluppate abbia prodotto rendimenti elevati, ma privi di sostegno nei “fondamentali” dell’economia reale, che hanno attratto e, in un processo di causazione circolare cumulativa, si sono alimentate di flussi di capitali da paesi meno sviluppati, sottraendo risorse allo sviluppo reale di questi ultimi. Se così fosse la disillusione prodotta dall’attuale crisi potrebbe rifocalizzare le risorse di quei paesi e riorientare i loro fondi sovrani verso l’interno, offrendo ad essi qualche opportunità in più di sviluppo.

Il volume offre come detto molti altri spunti di riflessione, per i quali si rimanda alla sua lettura, che risulta essenziale per chiunque voglia avvicinarsi all’argomento trovando una trattazione introduttiva compatta, incardinata in una visione critica originale dei fatti economici e dei loro profili istituzionali.