Il progetto di scudo fiscale del ministro Tremonti e il recente scontro tra l’amministrazione fiscale Usa e la Ubs ha indotto molti a ritenere che il modello bancario svizzero, incentrato sul segreto bancario, sia arrivato oramai al capolinea. In realtà è importante distinguere gli eventi che riguardano l’intero sistema bancario svizzero da quelli relativi alle singole banche, in particolare Ubs.
Il segreto bancario costituisce oramai il “marchio di fabbrica” del sistema bancario svizzero. Fu istituito nel 1934 a seguito del tentativo da parte delle autorità naziste di sequestrare i capitali dei “nemici dello Stato”, soprattutto ebrei e da allora ha da sempre tutelato l’anonimato dei capitali depositati. In aggiunta, il fatto che la Svizzera si sia sempre limitata a scambiare informazioni relative all’identità dei depositanti solo in caso di frode e non in caso di evasione fiscale, ha contribuito a favorire l’afflusso di ingenti flussi di capitali e ad alimentare sospetti e illazioni sulla limpidezza di tali flussi.
Negli ultimi anni i principali paesi industrializzati e le più importanti istituzioni finanziarie internazionali hanno intensificato la lotta ai cosiddetti paradisi fiscali richiedendo l’adozione di standard e codici di condotta improntati ad una maggiore trasparenza. La crisi finanziaria ha ulteriormente accelerato il processo mettendo ulteriormente “alle strette” questi paesi. Particolarmente attivo in questo senso è stato l’Ocse, che ha inserito la Svizzera nella “lista grigia” dei paesi considerati paradisi fiscali che non dimostrano una reale volontà di cooperare. Al fine di evitare possibili sanzioni la Svizzera si è di conseguenza impegnata a negoziare una serie di accordi bilaterali di doppia tassazione e il 9 marzo di quest’anno ha accettato di adottare gli standard Ocse relativi alla cooperazione in materia fiscale che prevedono lo scambio di informazioni relativi anche a casi di evasione fiscale. All’interno di questo scenario relativo all’intero sistema finanziario svizzero, si sviluppa una vicenda particolare, quella di Ubs, che ha destato molto scalpore.
La vicenda Ubs è nota: la banca svizzera (uno dei giganti della finanza internazionale) ha adottato una politica di private banking nel mercato Usa piuttosto aggressiva e, questa è l’accusa delle autorità federali americane, improntata a favorire l’evasione fiscale da parte di cittadini Usa che, tramite Ubs nascondevano così il proprio patrimonio al fisco statunitense. Con la recente crisi finanziaria Ubs si è trovata in notevole difficoltà ed è stata costretta a chiedere aiuto tramite il piano Paulson attraverso le sue filiali americane. A fronte di ciò l’amministrazione Usa, tramite l’agenzia delle entrate, ha avanzato la richiesta ad Ubs del nominativo di più di 50.000 cittadini americani sospettati di evasione fiscale. Il braccio di ferro tra la banca e l’amministrazione Usa si è protratto per parecchie settimane e si è concluso con l’accordo del 19 agosto per il rilascio di 4.450 nominativi. Anche se la cifra finale è meno di un decimo della richiesta iniziale, il caso ha suscitato molto clamore e ha indotto molti a ritenere oramai terminata l’esperienza del segreto bancario svizzero.
È tuttavia importante distinguere il caso Ubs da quello più generale del sistema bancario elvetico. Ubs paga da una parte una politica di private banking particolarmente aggressiva e dall’altra numerosi errori nella divisione investimenti che hanno causato ingenti perdite di bilancio e che hanno portato la banca a chiedere l’intervento del governo americano. Altre banche elvetiche, anche se fortemente provate dalla crisi finanziaria, non si sono trovate in una situazione analoga. La riprova è data dal fatto che mentre negli ultimi mesi Ubs ha subito un’emorragia di fondi, le altre principali banche svizzere (Credit Suisse in testa) hanno registrato afflussi positivi mostrando che molti capitali tendono ad abbandonare la banca singola ma non il sistema elvetico.
Ciononostante, anche isolando il caso Ubs, rimangono i recenti “ammorbidimenti” delle autorità elvetiche relativamente ai casi di evasione fiscale che possono lasciar intravedere qualche crepa nel segreto bancario svizzero.
In realtà è molto improbabile che il processo possa andare oltre il livello raggiunto sino ad ora. Il motivo è relativamente semplice: il sistema finanziario elvetico è (troppo) grande e l’economia svizzera non si può permettere uno shock avverso di tali proporzioni. Per avere un’idea basti considerare che il sistema finanziario ammonta a circa il 13% del Pil svizzero, impiega il 6% della forza lavoro ed è la fonte del 14% delle entrate fiscali. Alcune stime suggeriscono che se il segreto bancario venisse abolito le banche svizzere potrebbero perdere tra il 20 e il 30% dei propri assets, una cifra enorme che minerebbe la stabilità del sistema bancario nel suo complesso e ultimamente dell’intera economia elvetica.
A sua volta questa instabilità potrebbe avere ripercussioni ancora più negative. Infatti il panorama degli investitori che ricorrono ai servigi delle banche svizzere sta rapidamente modificandosi. I flussi di capitale di provenienza estera non sono più costituiti da capitali europei in cerca di una protezione (o evasione) fiscale, quanto da capitali provenienti da paesi emergenti (soprattutto Russia e paesi arabi) che più che dal segreto bancario, risultano attratti dalla stabilità della valuta e dell’economia elvetica. Uno shock avverso al sistema bancario potrebbe comportare un effetto domino di proporzioni tali da risultare impensabile, almeno allo stato attuale.