Il caso Grecia sta creando qualche grattacapo in Europa. «L’euro – ha detto Angela Merkel – si trova in una fase difficile che rischia di durare anni». «Il problema – ha scritto martedì Carlo Pelanda su ilsussidiario.net – nasce dal rischio di insolvenza del debito pubblico greco e dall’effetto contagio che questo può avere nelle percezioni del mercato sulla solidità di altri debiti nazionali, in particolare quelli di Portogallo, Spagna e Irlanda. E anche Italia». Ne abbiamo parlato con Francesco Forte, economista.



Che cosa rappresenta la crisi del debito greco per l’Europa?

 

Per la Grecia la situazione è certamente molto delicata. Penso però che il piano di risanamento non riuscirà a funzionare, e che l’idea della Merkel e della Bce sia di dare alla Grecia un chiaro avvertimento. E quindi il soccorso avrà luogo tardi, temo, cioè dopo che Atene avrà avuto guai.



Bruxelles farà scattare la procedura di infrazione?

Non penso a quello, ma agli interventi che ora non si faranno. Poi vedrà che tra un anno o due, quando la Grecia sarà in una situazione molto più difficile, in un modo o nell’altro si dovrà intervenire. Manca comunque in Europa un organismo che svolga verso i paesi membri le funzioni del Fondo monetario: per esempio quella di commissariare i paesi dell’area euro che vanno in grave crisi.

Poiché si parla di debito, alla lista possono aggiungersi Portogallo, Spagna, Irlanda. E in Europa lo sanno.

Ma la Grecia è piccola e per la comunità europea non è un grosso problema. Certo se alla Grecia si aggiungesse l’Irlanda, il problema avrebbe un’altra luce. Non dico che l’Irlanda è come la Grecia, ma il suo Pil è anch’esso sopravvalutato perché in gran parte è costituito da attività finanziarie e il paese ha una struttura industriale precaria. La Spagna è un’incognita, anche se per ora il suo debito è considerato solvibile.



E l’Italia?

La somiglianza con la Grecia è solo apparente, perché le due economie sono completamente diverse. Poi il rapporto debito/Pil della Grecia già prima della crisi era superiore a quello italiano e il suo Pil secondo me era sopravvalutato, mentre il nostro Pil è sottovalutato di un 20 per cento.

Ma quali possono essere le ripercussioni sull’eurosistema di quello che sta accadendo?

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Io le trovo positive, scusi il paradosso. È una situazione che mostra finalmente lo stato reale dell’economia europea. La realtà è che il tasso di rivalutazione dell’euro può strangolare le esportazioni. Invece un euro deprezzato potrebbe controbilanciare il fatto, fortemente penalizzante, che le monete asiatiche sono artificiosamente agganciate al dollaro. Le nostre esportazioni in altre parole possono solo guadagnarci.

 

Non la preoccupa la sfiducia dei mercati? L’Italia deve collocare sul mercato circa 485 miliardi di titoli di debito pubblico solo nel 2010.

 

Non drammatizzerei. Ci sono due cose da dire. La prima è che l’Italia deve attuare meticolosamente il piano di rientro pensato da Tremonti. È la priorità. Proprio per questo Berlusconi ha rinviato la riforma fiscale. La seconda è una mia idea da sempre: fare un federalismo fiscale che comporta la devoluzione di una quota significativa dell’imposizione personale sul reddito alle regioni, implica immediatamente – questo sì – il rischio debito Italia. È una cosa che il nostro paese nei prossimi quattro anni non può permettersi. Quindi o si fa un diverso federalismo fiscale o non lo si fa.

 

Attacca il federalismo fiscale?

 

Un attimo. L’Italia non subisce alcun downgrading nel suo debito pubblico perché ha una robusta tassazione personale sul reddito basata sulle trattenute alla sorgente. E qui viene il discorso delle due aliquote. Esse sono impraticabili, ma il vero problema non sono le aliquote ma la progressività: sapere cioè se la progressività è adeguata nel creare una base imponibile accettabile per i redditi alti e quelli bassi, moderata quindi verso il basso e moderata verso l’alto.

 

Dunque torniamo al punto: il nostro debito non è giudicato a rischio perché il nostro prelievo fiscale è coerente.

 

Sì. Siamo solvibili perché coloro – e tra quelli ci sono anch’io – che hanno governato il centrosinistra negli anni ’80 lo hanno fatto bene, sistemando l’imposta personale sul reddito. È per questo che Moody’s ci dà un rating buono, perché abbiamo un’imposta sul reddito che rende il 12 per cento del Pil e potenzialmente può arrivare al 14. Paesi come Irlanda e Grecia dovranno abbassare e i salari. So che è doloroso ma è l’unico modo che hanno a disposizione per riequilibrare un’economia in difficoltà, perché la vera ricchezza non viene dai capitali finanziari ma dai redditi da lavoro.

 

Mi sfugge la questione del federalismo.

 

 

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In Italia abbiamo solo due imposte che funzionano: i contributi sociali – che ci garantiscono il sistema previdenziale – e l’imposta personale sul reddito, che ci garantisce il debito pubblico. L’Iva, per quanto sia evasa – su 100 di base imponibile al fisco ne viene dichiarato solo 60 – in realtà funziona. Ma se una quota dell’Iva andasse alle regioni, lo Stato non riuscirebbe più a garantire una parte del suo debito pubblico.

 

Dunque?

 

Dunque il segnale che viene dall’Europa non è che il nostro debito pubblico è a rischio, ma che dobbiamo fare le riforme giuste e non quelle sbagliate. Tra le prime c’è quella delle pensioni.

 

Ammetterà però che nell’eurosistema qualcosa che non va c’è. Gli stati cedono bilancio e cambio, ma non ricevono flessibilità di gestione.

 

Intanto il cambio il cambio unico è essenziale se si fa un’area monetaria. Io ho sempre sostenuto che prima andava fatta una riforma della struttura fiscale dell’Unione, per poi fare la moneta unica. Invece si è fatta l’Ue sul principio che la moneta sia una struttura di per sé in grado di tenere in piedi un’area monetaria integrata, ma non è così. Così la Bce sovrintende ad un sistema unico senza alcuna garanzia che uno stato abbia un sistema creditizio serio.

 

L’Europa è vittima di un falso monetarismo?

 

Esatto. L’eurosistema non funziona perché non esiste un automatismo in base al quale la moneta risolve i problemi dell’economia reale. Da anni invece immaginiamo che tramite la moneta dirigiamo le sorti dell’universo. Invece con la moneta non si governa niente. Abbiamo una crisi dell’euro, ma non è l’euro che è in crisi, sono le economie reali.