La severa crisi in corso è anche una finestra di opportunità per realizzare riforme essenziali per consentire al Paese di riprendere un sentiero di sviluppo, non diversamente da quanto accadde negli anni ’30, quando la crisi stimolò, sia in Europa che negli Stati Uniti, l’emergere di nuove regole, organismi e istituzioni su cui si è fondata la crescita economica del secondo dopoguerra. Il progetto di riforma fiscale di cui in questi giorni discute Tremonti rientra a pieno titolo nel novero delle grandi riforme rese necessarie, ma anche possibili, dai grandi mutamenti strutturali in atto.
E’ questa anche l’occasione storica per rispondere al problema, enorme e silenzioso, della crisi economica della famiglia, da cui a cascata derivano conseguenze pervasive su tutto il tessuto economico e sociale, e in particolare il ristagno demografico di un Paese sempre più vecchio, per il quale il flusso di giovani immigrati è, anche se in aumento, solo un temporaneo palliativo. La questione centrale è che se accanto al Pil introduciamo – come misura nuova delle potenzialità di sviluppo – il numero di anni di lavoro utili fino alla pensione della popolazione esistente, cioè una prima approssimazione del Prodotto Potenziale, tale indicatore è in tendenziale declino già a partire dal 1990 e in questi anni registra un ulteriore rapida diminuzione.
Un sistema fiscale disordinato e incoerente è ostile ai contribuenti e alle famiglie perché impoverendone il potere di acquisto ne limita anche la libertà di scelta sugli aspetti più privati – ma “comuni” – quali appunti il numero di figli. Come ha ben dimostrato l’Istat in un’indagine recente la famiglia è la fondamentale unità di scelta economica, oltre che – a maggior ragione – per le decisioni più private. A ciò si sommano gli effetti cumulativi della crisi economica, perché – come già sottolineava Keynes nel 1937 – un’epoca di declino della natalità è caratterizzata da un incipiente timore e pessimismo, mentre all’opposto – egli scriveva: «un’era di crescita della popolazione tende a promuovere l’ottimismo, dato che la domanda di mercato tenderà ad eccedere, piuttosto che essere inferiore alle aspettative». E anche quando ciò avvenisse l’errore sarebbe rapidamente corretto.
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Nonostante la sua centralità, la famiglia è oggi un soggetto sociale spesso dimenticato oppure considerato come in via di estinzione, nonostante che proprio in Italia la famiglia-impresa che diventa impresa-famiglia abbia rappresentato la chiave del grande miracolo economico italiano, mentre le imprese familiari ancora dominano la scena economica, sia per le piccole come per le grandi imprese.
Sarebbe fatale se tutto ciò non diventasse l’asse centrale della riforma fiscale, le cui caratteristiche desiderabili – che in parte raccolgono stimoli vecchi e nuovi di Tremonti – possono essere così riassunte: semplicità fiscale, in quanto valore di democrazia (e il quoziente familiare è “semplice”, come ben dimostra l’esperienza francese di mezzo secolo), ed equità sia verticale che orizzontale (in particolare a favore di chi non ha “voce” politica, il che significa un’attenzione centrale al sostegno economico dei figli, come in Germania).
Inoltre, sussidiarietà e decentramento fiscale (perché libertà e responsabilità si accompagnino, in ambienti urbani sempre più “amici” delle famiglie), dalle imposte sulle persone a quelle sulle “cose”, cioè un riassetto del sistema fiscale che riduca il peso delle (numerose) imposte dirette, bilanciato da un aumento di quelle indirette (nella prospettiva di ridurre l’evasione fiscale e favorire il risparmio per il futuro proprio e dei propri figli), una maggiore valorizzazione delle imposte di scopo, che rendano meglio visibile la relazione fra il “sacrificio” del cittadino e il beneficio che ne deriva (come nel caso della sanità).
Non si può infine dimenticare che i costi di transizione dal vecchio al nuovo, normali per qualunque riforma, potrebbero diventare molto impegnativi per una riforma di questo respiro. Viviamo in un Paese che ha bisogno di riprendere il suo cammino di sviluppo, senza dimenticare la sua storia, con un sistema fiscale pesante, ma soprattutto poco efficiente e troppo spesso ostile. La crisi è un opportunità sia perché consente maggiore innovazione, dando voce ai bisogni delle famiglie, del capitale umano e morale del Paese, e non solo ai suoi interessi forti, sia perché ciò rappresenta la sola via d’uscita al rischio di un declino incipiente del Paese.