Mentre a Davos i banchieri del mondo si uniscono per contrastare l’attacco contro i propri privilegi – ovvero utilizzare denaro pubblico per fare profitti salvo poi scaricare su governi e cittadini le perdite, una sorta di modello Fiat globale che le prossime trimestrali ci sveleranno in tutta la sua portata – a Francoforte stanno attrezzandosi per quello che ilsussidiario.net sta dicendo ormai da settimane. Ovviamente nel silenzio più totale, degli euro-burocrati ma anche dei media.
A Londra, invece, è circolato con molto interesse in ambienti finanziari l’ultimo pamphlet-outlook della Bce, intitolato “Ritiro ed espulsione dall’Ue e dall’unione monetaria europea: alcune riflessioni”. Il titolo, già di per sé, lascia poco all’immaginazione. Le prime parole con cui viene presentato, poi, tolgono ogni dubbio: «I recente avvenimenti, forse, hanno aumentato il rischio di una secessione – pur restando sempre modesti – così come la necessità di far fronte a questo possibile scenario».
Insomma, siamo alle soglie del rischio di estromissione di un paese dell’Ue dall’area euro: chi possa essere non è difficile capirlo, basta vedere dove i tassi di interesse reali stanno salendo: Grecia, Spagna, Irlanda, Portogallo e Italia. Insomma, saremmo alle soglie di un peg, ovvero un agganciamento fisso all’euro da parte di chi non è in grado di sottostare alle regole della casa in tempo di crisi? Non proprio.
La ricetta della Bce è differente: minacciare di espulsione tout-court dall’Ue chi intendesse, magari solo per un periodo, abbandonare l’euro. Sono gli Stati che stanno pensando di scappare dalla gabbia dorata della moneta unica, non il contrario. Ma questo non basta. Il documento, che formalmente dovrebbe essere di carattere meramente economico, spazia invece anche nella politica, attaccando con durezza estrema quegli elettorati europei, ovvero i popoli sovrani, che continuano a opporsi a una maggiore integrazione e avverte che l’Ue ha di fatto creato un nuovo ordine legale in base al quale la secessione, ovvero l’addio, non è più un diritto di autodeterminazione ma una scelta che necessita dell’ok della stessa Unione. Sovietica, verrebbe da dire.
Il perché della necessità di questo documento proprio ora, quando le priorità sembrano per altre, è presto detto: andarsene dall’Ue per alcuni Stati significherebbe potersi gettare a capofitto sul mercato divenendo maggiormente competitivi grazie all’export che vivrebbe un boom con l’euro così sovradimensionato e il dollaro debole, ma non ancora a pezzi come sarà fra tre-quattro mesi.
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D’altronde, i dati parlano chiaro. La massa monetaria M3 è l’indicatore principale di questa crisi, così come i prestiti alle imprese in area euro: l’attacco delle agenzie di rating alla Grecia, giustificabile solo in parte anche tecnicamente, è il segnale che qualcuno si sta muovendo nella direzione di un nuovo ordine politico, prima che economico. L’asta di bond greci tenutasi a inizio settimana ha visto il tutto esaurito, con richieste quattro volte superiore all’offerta: per forza, l’Ue ha obbligato Atene a offrire interessi spaventosi pur di rifinanziare il proprio debito e non vedere andare l’asta a vuoto. O, magari, affollato solo di banche – le stesse che piangono a Davos – pronte a rivendere le miserie dei cittadini greci ai vulture funds.
Guarda caso ieri esprimeva ottimismo sulla determinazione della politica economica a riportare i conti pubblici in carreggiata, proprio il governatore della banca centrale della Grecia, George Provopoulos, al termine di un incontro con il premier George Papandreu: «Mi ha trasmesso – ha riferito al termine dell’incontro – un messaggio di diligenza e determinazione ad agire nel quadro del programma di stabilità e sviluppo presentato alla Commissione europea. Rassicurazioni che giungono dopo che oggi indiscrezioni di stampa, seccamente smentite dal governo, avevano creato nuove pressioni sui titoli di Stato ellenici, ipotizzando trattative di Atene per collocare una maxi tranche di bond in Cina, circostanza quest’ultima categoricamente smentita dal ministero delle Finanze.
Il problema di fondo è l’esplosivo incremento del deficit di bilancio, che per lo scorso anno è stimato al 12,7% del Pil. Il governo si è impegnato a riportarlo con un piano pluriennale all’interno dei limiti massimi previsti dai trattati europei, sotto il 3% nel 2012. Oggi ho avuto una lunga discussione con il premier sulla politica economica che verrà seguita quest’anno – ha spiegato Provopoulos – e ora sono molto più ottimista»
E sempre ieri, in un’intervista al Wall Street Journal, anche il presidente della Bce, Jean-Claude Trichet ha espresso fiducia sulla determinazione di Atene a riportare le finanze pubbliche in carreggiata. Ma guarda che miracolo, una diecina giorni fa era il dramma e ora – grazie a un’emissione tra il suicida e il delinquenziale e qualche riunione di gabinetto – la Grecia starebbe per uscire dalla crisi. Balle. La maxi-tranche andrà alla Cina, la quale – come riportato il mese scorso da ilsussidiario.net – ha già acquistato tutte le concessioni dell’ente portuale del Pireo a prezzo di saldo.
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Ma queste cose non vanno dette ala gente, non bisogna dire che quelle condizioni capestro imposte da Ue e Bce ad Atene per evitare l’espulsione coatta distruggeranno la sovranità greca, bisogna raccontare favole sulla legittimità dei dividendi, ipotizzare Draghi alla Bce – Goldman Sachs, a quel punto, avrebbe fatto bingo globale -, attaccare Geithner per l’unica cosa seria che ha fatto – ovvero salvare Aig, altrimenti l’Europa, controparte di troppe porcate finanziare con il colosso Usa, sarebbe a livello della Seconda Guerra mondiale – e perdersi in dotte disquisizioni riguardo la bontà delle nuove leggi che Barack Obama vuole imporre al mondo dei bonus a sei zeri.
Viviamo, se ancora non ce ne fossimo accorti, in un regime – questo sì pericoloso e reale – che ci nega la verità e ci veicola il sentire: a Francoforte stanno decidendo, ammesso che non abbiano già deciso, la prossima geografia del continente, stanno limando i piani, postillando i dettagli, creando le condizioni di un’accettazione tanto passiva quanto emergenziale da parte dell’opinione pubblica. A Londra, nelle stanze di chi conta e su queste cose sta facendo soldi a palate, questi documenti circolano: e ci si lavora sopra. Ad Atene sorridono e piazzano bond: a quale prezzo, lo scopriranno purtroppo i cittadini ellenici tra non molto tempo.