Le analisi economiche correnti concordano sulla seguente immagine. La crisi globale è stata meno intensa di quanto si temeva perché governi e banche centrali hanno reso disponibili con prontezza i capitali che mancavano.

Proprio per questo la ripresa è basata su stimoli e iniezioni di liquidità di entità straordinaria sostenibili per poco tempo. Pertanto nel 2010 sarà necessario iniziare a passare gradualmente da una ripresa assistita a una spontanea in modo da permettere alle autorità monetarie di ridurre l’enorme bolla di liquidità stimolativa ed ai bilanci pubblici di ridurre i sostegni a debito.



Questo, cioè la calibratura della “exit strategy”, appare il problema principale di politica economica del 2010 in America, Eurozona e Cina. Il come sarà risolto determinerà o (a) una ricaduta in recessione dell’economia globale, o (b) la continuazione di una ripresa in un quadro di riequilibrio del sistema oppure (c) una ripresa disordinata poi portatrice di inflazione e/o di instabilità finanziaria a sua volta causa di nuove crisi. Quale scenario è il più probabile?



La domanda globale è retta dal mercato interno statunitense. Il suo cedimento, nel 2008, ha comportato una riduzione delle importazioni, con effetto a catena di contrazione delle esportazioni di tutte le altre economie più rilevanti, quali Cina, Giappone, Germania, Italia, ecc. Poiché la riparazione del sistema americano è lenta, per l’enormità dello sconquasso, le nazioni più dipendenti dall’export dovrebbero compensarne la riduzione con più crescita interna.

Ma ciò implica cambiare modello economico e non è facile farlo in poco tempo. L’Eurozona non lo sta neanche tentando perché tale cambiamento implicherebbe passare da un modello statalista a uno liberalizzato con tasse minori e si può immaginare quali conflitti politici e sindacali ciò scatenerebbe. La Cina, nel 2009, ha immesso nel suo sistema parte delle riserve per compensare un 20% circa di calo dell’export, così drogando la ripresa via pompa di capitale. Ma non potrà, appunto, cambiare un modello dipendente dall’export.



Quindi europei e cinesi sono condannati ad aspettare la ripresa statunitense, nel frattempo tenendo attivi stimoli a debito o comunque straordinari. Tale situazione è molto pericolosa, perché se l’America resta lenta, europei e cinesi dovranno mantenere politiche squilibranti oltre la soglia di riequilibrio. Alla fine qualcosa salterà o dovranno accettare di ricadere in recessione per evitarlo. Quindi la prima stima cruciale riguarda la velocità della ripresa negli Stati Uniti.

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Essa sta accelerando, già mesi fa Bernanke si disse sicuro che lo avrebbe fatto dal giugno 2010, pare stia avvenendo un po’ prima. Se così, la locomotiva americana riprenderà a trainare presto quella secondaria cinese e i vagoni europei. In tal caso le stimolazioni sia monetarie sia di spesa pubblica straordinaria potranno essere ridotte già in primavera negli Usa, in autunno nell’eurozona e subito in Cina.

 

Entro questi tempi c’è lo spazio di riequilibrio calibrato per le masse monetarie, in modo da evitare sia deflazione sia inflazione, nonché di contenimento della crescita dei debiti pubblici. Quindi lo scenario più probabile è il (b) ed è una buona notizia.

 

Ma, conseguenti, ce ne sono due inquietanti. Un qualsiasi incidente in America riaprirebbe le alternative destabilizzanti (a) e (c). Se andrà tutto bene nel breve, resterà nel medio-lungo la dipendenza della crescita mondiale dalla locomotiva americana che ormai è troppo piccola per reggere un tale carico, promessa di crisi ripetute e sempre più gravi nel futuro. C’è un problema di struttura.

 

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