Federico Ghizzoni, il nuovo amministratore delegato dell’Unicredit è stato scelto in una riunione del board della banca che si è tenuta a Varsavia. I simboli, a volte dicono molto. La Polonia è, infatti, uno dei Paesi che erano sotto le “cure” di Ghizzoni che, come vice (uno dei quattro) dell’ex amministratore delegato è stato il responsabile dell’area est Europa della banca.
Fedelissimo di Profumo, che lo “scoprì” quando era a capo delle operazioni della banca in Turchia, Ghizzoni arriva al vertice della banca con un compito, soprattutto, quello di accentuare l’espansione all’estero della banca: è quello che ha sempre fatto ed è quello che oggettivamente ci si aspetta da lui. Ed è significativo che ieri, alla notizia della sua nomina da parte del cda la Lega non abbia detto una parola.
Il partito di Bossi sosteneva la candidatura di Roberto Nicastro, responsabile della rete retail. È possibile che le tensioni politiche riemergano in un prossimo futuro. Quello che è certo è che sarà necessario la nomina, rapida, di un direttore generale con deleghe sulle attività italiane. Sarà Nicastro? Possibile.
Ma la nomina di Ghizzoni ha un significato soprattutto per i rapporti di potere interni alla banca. Il fatto che il presidente Dietr Rampl abbia assunto un ruolo forte è indiscutibile e la scelta di un manager interno, senza blasoni, lo rafforza enormemente. Ora è Rampl il tutore della indipendenza della banca. È lui che dovrà difenderla, se così si può dire, dagli “appetiti” politici e sarà sempre lui che manterrà i rapporti con i centri di potere italiani, ministero dell’Economia in particolare.
Avrà un ruolo molto simile a quello che in Banca Intesa ha Giovanni Bazoli: metà padre nobile e metà tutore degli equilibri esterni. Ad esempio: difficile pensare che sarà il neo amministratore delegato, che da anni si occupa dell’espansione all’estero, a decidere sulla cessione del Mediocredito Centrale all’Economia (decisa da Profumo) per farlo diventare la pietra angolare della futura Banca del Sud. E sarà sempre Rampl a tenere i rapporti con gli azionisti: Fondazioni bancarie e libici in primo luogo.
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E il primo messaggio è già arrivato fortissimo e chiarissimo. Il cda della banca, rispondendo ai quesiti della Banca d’Italia sulle partecipazioni delle due istituzioni libiche, ha scritto che «allo stato non sono pervenute, né paiono altrimenti disponibili, informazioni che consentano di considerare, con la dovuta certezza, le due partecipazioni come autonome in relazione alle applicabili previsioni statutarie».
Tradotto: occorre bloccare il diritto di voto delle due istituzioni libiche dal 7,5%, se fossero considerate due entità autonome, al 5% come impone lo statuto. Così è più chiaro chi comandi, davvero, in Unicredit.