La riflessione di Giorgio Vittadini sull’idea di “Big Society”, proposta dal premier inglese David Cameron, ripropone una questione centrale e cioè la natura del concetto e della pratica di democrazia in società mature, come quella italiana.

La questione è vitale perché si intreccia in modo indissolubile con la crescente domanda del riconoscimento di problemi e soluzioni che hanno la natura di un “bene comune”, cioè di valori e comportamenti indirizzati a un obiettivo buono e desiderabile per un’intera comunità. La disaffezione dei cittadini dalla politica non è un fenomeno solo italiano, ma è proprio in Italia che le conseguenze appaiono più evidenti, con un crescente disorientamento dei cittadini e delle imprese, che trovano molto più naturale cercare un dialogo con chi è più prossimo, perché ne condivide i problemi e il linguaggio, piuttosto che un potere centrale che ormai sembra refrattario anche alle ragioni del consenso elettorale.



Le democrazie moderne, alcune più di altre, sono inceppate fra gli opposti di un decisionismo di facciata e un consenso conquistato al prezzo di una paralisi del cambiamento: una via d’uscita deve essere trovata, e la promozione della sussidiarietà è lo snodo centrale per un progetto democratico che avvicini, anziché allontanare, i cittadini alla partecipazione politica. È necessaria una via alternativa rispetto al dualismo fra la tradizione della democrazia classica e la poliarchia dei grandi Stati, che nel corso di questa crisi hanno riacquistato un ruolo centrale nel governo della politica economica mondiale, mentre il mito di una globalizzazione dissolutrice dei confini si va dissolvendo in modo parallelo.



Il riconoscimento dell’appartenenza a comunità locali, come parti costitutive di una comunità nazionale, è centrale proprio perché l’intenzione di perseguire un “bene comune” richiede in misura crescente un reciproco riconoscimento di comunità sempre più ampie, perché i confini dei “beni comuni” non coincidono con quelli politici e in alcuni casi coinvolgono continenti o il mondo. Si avanza invece la globalizzazione responsabile della sopravvivenza umana che incontra il limite crescente delle risorse finite del pianeta e che richiede nuove forme di dialogo e partecipazione: il nodo centrale è quello del rapporto fra la persona umana e i livelli di comunità dei quali essa si riconosce parte e nei quali, di conseguenza, partecipa in modo attivo.



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Per questi motivi il dibattito aperto da Cameron pone un problema reale e urgente, che sarebbe sterile confinare nei desueti schemi di una dialettica fra Stato e mercato, poiché pone invece un problema di democrazia sostanziale e irrisolta, in Italia come negli altri grandi paesi, a partire dagli Stati Uniti. Ed è proprio nelle transizioni epocali delle grandi crisi, come negli anni ‘30, che questi carenze di democrazie si manifestano con maggior evidenza, perché un numero crescente di strati sociali non riesce più a trovare canali istituzionali attraverso cui esprimere il proprio disagio, come accade oggi per le donne, i giovani, i disoccupati e quei gruppi sociali che non hanno sufficiente peso elettorale per conquistare un peso nell’agenda politica del governo.

 

Deve far riflettere come molte delle iniziative filantropiche che sono apparse sulla scena proprio in questi momenti difficili, abbiano anche una caratterizzazione legate alle comunità locali di appartenenza, perché chi dona lo fa con la consapevolezza e la gratitudine di ritornare quanto ha ricevuto dalla vita sia in virtù dei propri meriti che del sostegno di chi, da vicino, ha contribuito al suo successo. I paesi che prosperano davvero sono quelli nei quali la grande borghesia dirigente definisce se stessa in un rapporto genuinamente democratico con la comunità da cui proviene e senza della quale non avrebbe raggiunto i risultati acquisiti.

 

Anche in Italia non mancano segnali in questo senso, perché è fertile il terreno su cui i semi della solidarietà possono crescere, ma è necessario che i casi isolati riportino alla memoria le tradizioni di un passato recente che ha reso prospero e unito questo paese.

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