Sarà per la suggestione che “Wall Street 2” inizia a suscitare sugli schermi cinematografici di tutto il mondo, fatto sta che il j’accuse lanciato dal ministro Tremonti contro la speculazione finanziaria internazionale, tornata secondo lui ad agire a mano libera sui mercati, ha colpito nel segno. Il film-sequel del cult di Oliver Stone che raccontava, dieci anni fa, delle scorrerie di un raider di Borsa, Gordon Gekko, parte dalla scarcerazione di quest’ultimo che, tornato al vecchio lavoro, scopre che nel nuovo contesto i nuovi colleghi si comportano in modo molto peggiore di come faceva lui e rimangono impuniti.



Spiace che il governatore della Banca d’Italia Mario Draghi si sia sentito in dovere di replicare a Tremonti indirettamente, all’indomani, per ridimensionare la fondatezza dell’allarme, dicendo che gli episodi speculativi di nuovo in atto hanno portata limitata: la verità, purtroppo, è quella denunciata dal ministro e dal film, e a nulla è valso, finora, l’impegno del Comitato internazionale per la stabilità dei mercati finanziari guidato appunto da Draghi.



Com’è possibile che a due anni di distanza dal crack della Lehman Brothers sia corretto dire che la speculazione è tornare alle sue scorrerie borsistiche? Com’è potuto accadere? Una risposta cronistica deve concentrarsi sui difetti dei controlli preventivi che le autorità di vigilanza di tutto il mondo riescono a praticare sui mercati finanziari. Ma la risposta sostanziale è un’altra, e batte sulla struttura operativa dell’industria finanziaria angloamericana, un’industria ipertrofica, vittima di se stessa e di un’autoreferenzialità totale, per cui metà del personale che vi opera lavora per incrociare le attese dell’altra metà, accomunati tutti da guadagni iperbolici legati non alla sostanza dell’attività svolta, ma alla sua apparenza nominale.



E la sostanza dell’attività dei mercati finanziari, che all’origine della storia delle Borse internazionali è sempre stata il sostegno finanziario all’attività economica d’impresa, è ormai divenuta tutt’altra cosa: ovvero oggi quell’industria guadagna, e tanto, sulla circolazione dei capitali e non sul loro rendimento reale. Si può dire, insomma, che se un tempo la speculazione aggiungeva pepe ai mercati, oggi i mercati sono soltanto pepe, ma sotto la spezia non c’è più la pietanza.

Tremonti ha qui introdotto – parlando all’ultimo G7, dove peraltro erano ricomparsi per la prima volta i vertici operativi delle principali banche d’affari internazionali – un distinguo non banale a vantaggio degli istituti bancari italiani, diretti con maggiore prudenza e responsabilità di molti altri, stranieri. Ma purtroppo non sono i nostri istituti a dare l’impronta al mercato. Quella la danno le banche d’affari americane: “I derivati finanziari – ha denunciato Tremonti – sono tornati agli stessi livelli pre-crisi”. Il che è pericolosissimo, è prodromico di nuove convulsioni dagli effetti imponderabili, e andrebbe a tutti i costi scongiurato: ma esistono possibilità infinitesimali che ciò accada.

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“Vi dico che i banker sono tornati”, ha ribadito Tremonti. Ed è bene rileggere il j’accuse del nostro ministro: “Due anni fa i banker non c’erano, l’anno scorso avevano un basso profilo, quest’anno le grandi banche d’affari sono tornate. Hanno preso alberghi costosi, offrono cene e ricevimenti fantastici e questo vorrà dire qualcosa”. Cosa sta a indicare, questa loro rinnovata presenza? “Che la speculazione è tornata a piede libero”, afferma Tremonti, “che i derivati sono tornati allo stesso livello di prima della crisi, che i bonus sono uguali a prima della crisi, forse più alti. I problemi sono rimasti. Quando la polvere del crollo si è posata, in molti Paesi si è agito molto e bene per riportare ordine sui mercati, e tuttavia questi due-tre anni ci indicano due cose. Primo, troppo si è confuso tra ciclo economico e crisi, con la retorica che c’è stata sugli stimoli, parola che tra l’altro fa ridere. Secondo, nel gestire la crisi scambiandola per ciclo, si è scelto di salvare la speculazione. Siccome le banche sono sistemiche si è fatta la scelta di salvare anche la speculazione e così non era stato nel 1929. Son due anni che lo dico. Nel 1929 i soldi pubblici furono usati per salvare imprese e famiglie e non le banche”.

 

E ancora Tremonti ha specificato: “ll volume della speculazione è tornato a com’era prima della crisi. Il mostro di oggi è quello dei cambi, con il confronto fra tre grandi blocchi continentali: Cina, Europa e America. Un cambio giusto stabilizza, uno sbagliato destabilizza, basta un pezzettino di cambio sbagliato per spiazzare l’industria italiana”.

 

Asciutto il controcanto opposto, all’indomani, da Draghi al ministro: “Sì, c’è un ritorno a pratiche precedenti la crisi, ma è molto limitato e non generalizzato”, si è limitato a dire. “Ci sono comportamenti di questo tipo e c’è molta volatilità sui mercati, ma bisogna dare contenuto alle affermazioni. Da un punto di vista del controllo dei rischi bancari, sono stati fatti dei grandi passi avanti”.

 

Sarà, Draghi è un uomo serio e rigoroso e merita il massimo credito. Ma la triste sensazione è che Tremonti abbia ragione da vendere. Che non esistano rimedi sistemici. E che una nuova ondata di crisi sia possibile in ogni momento.