La crisi? “Non è un week end noioso”. E nemmeno un “garden party in bad weather conditions”. Parole di Giulio Tremonti che, in vernacolo nostrano, potremmo tradurre così: signori miei, forse qualcuno di voi si è illuso che prima o poi “’a nuttata passerà” e si potrà riprendere il tran tran della vecchia, cara Repubblica spendacciona e solidale. Ma non è così. “La crisi è discontinuità”. La gente, in tutta Europa (Italia compresa) l’ha capito- e i comportamenti privati si stanno adeguando a grande velocità.
Purtroppo, a livello pubblico, si stenta a capirlo, come dimostrano i soliti piagnistei dei ministeri, che recriminano sui tagli alla spesa (ma è più corretto parlare di tagli all’aumento della spesa che comunque cresce), o una parte dei sindacati, che continua a sprecare energie su battaglie senza sbocco, da Termini Imerese ai privilegi della flotta pubblica Tirrenia. Ma, al di là delle chiacchiere, è difficile non convenire con quanto dice il ministro dell’Economia: “Non possiamo continuare a produrre più debito che ricchezza. Questo pone nuovi problemi di scelta politica: è difficile modificare strutture che si son costruite in base alla leva finanziaria”.
Parole sacrosante, che mister Tremonti, in versione mister Hyde, ha pronunciato all’Aspen Institute nella stessa giornata in cui il consiglio dei ministri ha dovuto digerire l’amara medicina: al termine di una “discussione assolutamente responsabile”, a detta del ministro, i colleghi hanno digerito le tabelle che rappresentano lo stato dei rispettivi dicasteri, oggi e in prospettiva; di questo passo, molti si sono lamentati, non ci saranno i soldi nemmeno per le bollette e gli stipendi.
È un documento molto tecnico, ha replicato perfido Hyde/Tremonti, perché spiega come sono stati costruiti in passato i conti pubblici. E come, al contrario, verranno costruiti in futuro, per essere coerenti con il piano di stabilità dell’Unione Europea. Per carità, è un obiettivo necessario, purché ci sia una ragione condivisa al termine dell’impresa. Come è avvenuto ai tempi di Maastricht o, prima ancora, in occasione del trattato di Roma del ‘56. Altrimenti si rischia di rivivere i tempi della tassa sul macinato, quando i tremendi sforzi imposti ai contadini del Nord e del Sud furono sprecati in scellerate imprese coloniali, mettendo a rischio la stessa unità del Paese. Come, fatte le debite proporzioni, potrebbe accadere anche oggi: guai a giudicare i vincoli per restare in Europa come una semplice regola da ragionieri, senza cogliere il valore politico della scelta.
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E qui entra in campo il dottor Jekyll. Alias il Tremonti della speranza. Basta parlare di sacrifici. Da oggi la nostra agenda prevede il capitolo sviluppo. Ovvero: nucleare, pubblica amministrazione, Sud, riforma fiscale. Con quali risorse? Difficile dirlo. Per ora sappiamo che: a) sul fronte della crescita le prospettive non sono certo esaltanti. Anche nel 2011 l’Italia crescerà, al più dell’1%; b) le entrate fiscali potranno aumentare solo per effetto della lotta all’evasione; c) la richiesta di ammortizzatori sociali è destinata a salire; d) tutti i ministeri, a partire dalla riforma universitaria promossa da Maria Stella Gelmini, rivendicano gli arretrati; e) dall’Unità d’Italia a oggi lo Stato non è riuscito ad abolire 242 enti inutili. È lecito dubitare che il ministro Tremonti riesca ad abrogare nel giro di un paio di anni “242 regimi di esenzioni e agevolazioni, per cui l’eccezione è diventata la regola”.
Insomma, resta il sospetto che Tremonti dottor Jekyll, brillante saggista dalle immagini folgoranti che sa far titolo sui giornali di casa nostra (e non solo) a ogni apparizione internazionale, sia una cosa. Mister Hyde, alle prese con i problemi di corporazioni antiche e di “buchi” di bilancio ancor più vetusti, sia altro: un ministro che sa essere spietato (chiedere a San Marino, per conferma), fantasioso (a quando lo scudo numero 5?) ma consapevole che il Paese ha un grado di resistenza e di consapevolezza limitato.
A meno che, come i grandi politici del passato, Tremonti non sappia indicare al Paese una mèta fondata sulla solidarietà: quella tra Nord e Sud, tra occupati e precari, tra giovani dimenticati dal welfare e anziani costretti a mantenere i nipoti. Ci vuole un colpo di genio. Chissà, forse il ministro ci può riuscire: anche se governare è più difficile che scrivere un libro.