Nei giorni scorsi è esplosa una polemica tra Banca d’Italia e governo sui dati che descrivono la vera situazione dell’economia e del bilancio statale. Tremonti si è affrettato a dichiarare che si è trattato di un incidente interpretativo, ma il ministro Sacconi ha insistito nel definire “esoterici” i numeri rilasciati dalla Banca d’Italia e il Direttore generale di questa, Saccomanni, gli ha risposto, piccato, di leggerseli: implicita sfida a smentirli, se riesce.
Questa tensione polemica, così come la fretta di chiudere la questione, lascia intendere che il governo tema il rilascio di dati che mostrino una situazione peggiore di quella che comunica, fatto che merita un commento di fondo.
Da un lato, è comprensibile che il governo non voglia si inneschi un pessimismo che poi riduce nel mercato la quantità di capitale necessaria per alimentare (con più consumi e investimenti) la ripresa. E chiede, di fatto, complicità ai commentatori quando enfatizza i dati positivi, che ci sono, oscurando o minimizzando quelli negativi. Chi scrive è liberista è quindi incline a sostenere un governo che, pur non granché liberalizzante, cerca di almeno non espandere un suicida statalismo.
D’altro lato, è sbagliato tentare la costruzione della fiducia distorcendo la realtà. Anche perché la gente se ne accorge, percependo una discrasia tra ottimismo forzato e stato delle cose. Poiché liberale tendo ad avere fiducia nel buon senso della gente e penso che il dirle la verità poi sia la base per scelte politiche e di comportamento a beneficio del sistema complessivo.
Il punto: i dati della Banca d’Italia mostrano che l’impatto della crisi recessiva 2008/09 in Italia è stato pesantissimo e che la rigidità del nostro sistema economico sta ostacolando la ripresa con rischio di peggioramenti gravi nell’equilibrio del bilancio pubblico, nella tenuta dell’occupazione e del sistema bancario. Sintesi: senza grandi e urgenti cambiamenti, questa volta, c’è un serio rischio di andare a fondo.
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Mentre il governo tende a dare l’immagine che l’Italia ha assorbito la crisi “esterna”, che la disoccupazione è inferiore a quella media europea e che quindi non occorre fare grandi manovre di stimolazione economica, la priorità è quella del rigore per non far crescere il debito con in mente il caso della Grecia. Banca d’Italia, correttamente: (a) aggiunge ai disoccupati sia quelli che sono in cassa integrazione sia quelli che hanno rinunciato a trovare un lavoro (per lo più tornati a quello in nero) e la somma fa 11%, picco negativo in Europa; (b) la qualità dei crediti sta peggiorando in uno scenario di imprese che fanno fatica a ripagare i debiti e quindi di banche che dovranno mettere a bilancio più sofferenze e perdite; (c) senza più crescita il rigore, alla fine, non sarà applicabile.
La ripresa appare la continuazione della recessione per mancanza di stimoli alla crescita dovuti a problemi strutturali di modello. È vero? Lo è, con l’annotazione che la parte sana del mercato mostra, in effetti, una buona ripresa, ma le aziende sane sono di meno. In questa situazione un governo non può solo limitarsi al rigore, pur prioritario, e all’assistenzialismo “di mantenimento”, ma deve cambiare il modello economico riducendo vincoli, tasse e spesa pubblica.
I politici al governo non vogliono farlo perché tale azione, pur salvifica, comporterebbe un’ondata di dissenso che ne distruggerebbe le ambizioni di carriera. Per questo oscurano i dati che li costringerebbero ad agire con più incisività. Ma ritengo che un politico debba pensare a salvare la nazione e non la propria carriera. E così invito a pensare.