Il futuro energetico dell’Italia si chiama nucleare: a fissione nel medio periodo e a fusione nel lungo. A sostenerlo è il professor Francesco Romanelli. Da quest’anno Romanelli è stato nominato direttore dell’European Fusion Development Agreement (EFDA), il programma Ue che coordina i vari laboratori attivi nella sperimentazione della fusione nucleare. Tra i più ambiziosi c’è il progetto ITER, a Cadarache in Francia, che dovrebbe diventare operativo entro dieci anni. Romanelli inoltre dirige anche il Joint European Tokamak (JET), che si trova a Culham nel Regno Unito, e che attualmente è il centro più avanzato per gli esperimenti sulla fusione.
Professor Romanelli, condivide la scelta del governo italiano di tornare a costruire delle centrali nucleari in Italia?
L’Italia deve riprendere il discorso sul nucleare. La soluzione al problema energetico può venire solo da un portafoglio di diverse fonti. In questo portafoglio l’energia nucleare da fissione deve giocare un ruolo crescente. Nel medio periodo l’energia nucleare da fissione è l’unica fonte che può consentire di sostituire in tempi e modi certi i combustibili fossili nella produzione dell’energia elettrica di cui ha bisogno l’Italia.
Ma le centrali nucleari sono sicure o gli italiani hanno motivo di temerle?
L’energia nucleare si basa su una tecnologia che in diversi altri Paesi, tra cui la Francia, ha dimostrato di essere in grado di produrre energia elettrica in modo sicuro. È quindi importante che l’Italia proceda sulla strada del nucleare, che allo stato attuale dello sviluppo tecnologico non presenta rischi sostanziali. Non a caso il nucleare è accettato in quasi tutto il resto del mondo. A Chernobyl era utilizzata una tecnologia differente da quella delle centrali nucleari dei Paesi occidentali, e presentava dei problemi di sicurezza che nei reattori al momento attivi sono stati interamente superati. L’unico accorgimento da tenere in Italia è di adottare maggiori cautele, ma pur sempre di livello standard, per i reattori costruiti in zone sismiche.
Che cosa ne pensa della proposta del ministro Paolo Romani, che vuole costruire una centrale nucleare in Lombardia?
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Il fatto di ospitare delle centrali nucleari non comporterebbe nessun problema per la Lombardia, il cui tessuto produttivo oltretutto ha anche una notevole fame di energia. Oggi inoltre i reattori possono essere costruiti in prossimità dei centri abitati senza particolari problemi legati alla sicurezza. Per motivi di praticità, come la necessità di una costante manutenzione, un reattore non può ovviamente sorgere nel mezzo di un deserto. Ma in ogni caso non ci sarebbe nessuna necessità per individuare zone disabitate. Le centrali possono infatti essere messe tranquillamente in regioni a elevate densità di popolazione come la Lombardia.
Quali sono, dal punto di vista ambientale, i vantaggi della fusione nucleare rispetto alla fissione?
Per rispondere bisogna partire dal presupposto che la fissione è come una pila, che accumula tutta l’energia all’inizio e poi la rilascia durante la vita del reattore. Mentre la fusione è come un forno, che deve essere continuamente alimentato. Nel caso si verifichino dei problemi, con la fusione basta quindi chiudere i rubinetti e la reazione si ferma. E la conseguenza è che non è neanche necessaria l’evacuazione delle aree.
Quando inizierà a funzionare ITER? E quando sarà possibile avere il primo impianto commerciale a fusione?
Il programma di costruzione e di ricerca di ITER prevede l’inizio delle operazioni tra circa dieci anni e i primi esperimenti di produzione di energia da fusione tra circa sedici anni. La costruzione del primo reattore dimostrativo (in grado cioè di produrre energia elettrica da immettere in rete, anche se non a costi economicamente convenienti rispetto ad altre fonti) potrebbe essere iniziata in circa 20 anni. occorre però che in parallelo a ITER vada avanti lo sviluppo delle ricerche sui materiali per la fusione, con la realizzazione della International Fusion Material Irradiation Facility (IFMIF), per la quale è in corso la realizzazione di una linea prototipo in Giappone nell’ambito di una collaborazione tra Giappone e Ue, in cui l’Italia svolge un ruolo primario, attraverso l’attività dell’ENEA, del CNR e dell’INFN.
Su quali altri filoni state conducendo le vostre ricerche?
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Le reazioni di fusione producono neutroni di elevata energia. Sotto l’effetto di questi neutroni i materiali di cui sono fatti i componenti all’interno del reattore tendono a perdere le loro caratteristiche strutturali e devono essere sostituti dopo un certo tempo. L’obiettivo è quello di sviluppare materiali la cui sostituzione debba essere fatta non prima di alcuni anni in maniera da evitare troppe pause nel funzionamento del reattore.
I contratti ottenuti dall’Italia sono pari a 500 milioni di euro. Che cosa rende il nostro Paese in grado di eccellere per quanto riguarda le componenti ad alta tecnologia?
La partecipazione al programma di ricerca e sviluppo tecnologico per la fusione che è stato condotto nell’ambito dello European Fusion Development Agreement (EFDA) negli scorsi anni è a mio parere alla base di questo successo.
Si può dire che ITER rappresenti per la fusione la stessa pietra miliare che ha rappresentato l’esperimento di Fermi del 1942 sotto lo stadio dell’Università di Chicago?
L’obiettivo di ITER è quello di dimostrare la produzione di potenza da fusione sulla scala di un reattore di medie dimensioni (500 MW) per durate che variano da alcuni minuti a un’ora. Inoltre verranno anche dimostrate molte delle principali tecnologie per la costruzione di un reattore dimostrativo. In questo senso ITER rappresenta qualcosa di più della pila di Fermi.
I reattori a fusione saranno economicamente competitivi con quelli a fissione e con le rinnovabili? Sarà una tecnologia a portata di tutti i Paesi o solo di alcuni?
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Gli studi effettuati ci dicono che è possibile avere un reattore commerciale con costi compresi tra 5 centesimi e 10 centesimi di euro per kWh, dunque economicamente competitivi con le altre fonti di energia. Molti paesi in via di sviluppo investono nelle ricerche sulla fusione che vengono condotte in uno spirito di collaborazione da più di 50 anni. ITER viene infatti costruito nell’ambito di una collaborazione che coinvolge Europa, Stati Uniti, Russia, Giappone, Corea del Sud, Cina e India. Paesi come India e Cina hanno aumentato molto gli investimenti nella fusione in previsione della necessità di fonti energetiche per il loro sviluppo economico.
Quali altre ricadute scientifiche e tecnologiche avrà ITER per l’Italia e per il mondo?
Sul piano scientifico ITER fornirà tutte le informazioni sul comportamento di un gas di deuterio e trizio ad alta temperatura (200 milioni di gradi) in cui i due terzi del riscaldamento e’ fornito dalle particelle alfa prodotte nelle reazioni di fusione. In Italia esistono ottime competenze nello studio dei fenomeni che avvengono in queste condizioni e la partecipazione ad ITER sarà pertanto molto proficua. Sul piano tecnologico la costruzione e l’utilizzo di ITER consentirà di avere ricadute nell’ambito dello sviluppo di magneti superconduttori, di sistemi di generazione di onde elettromagnetiche di alta potenza, di materiali capaci di sostenere elevati carichi termici, di sistemi di misura e controllo innovativi e di sistemi di manutenzione remotizzata, solo per fare alcuni esempi.
(Pietro Vernizzi)