Ridurre le tasse: la grande promessa tradita. In particolare del centrodestra, ma in realtà di tutti i governi degli ultimi vent’anni. Oggi riparte l’ennesimo “tavolo” tra governo e parti sociali sulla riforma fiscale che a questo taglio dovrebbe prima o poi condurre. Ma la sfiducia si taglia a fette.
Il che appare quasi beffardo nel momento in cui, finalmente, l’Europa a 27 ha “ammorbidito” il patto di stabilità riconoscendone la natura prima politica che tecnica, ammettendo che nel valutare le eventuali inadempienze degli Stati membri sarà necessario adottare una serie di cautele e accettando la richiesta dell’Italia di considerare anche il risparmio privato, quello delle famiglie, nel valutare l’incidenza del debito pubblico sul Prodotto interno lordo. Una vittoria del buon senso, si potrebbe dire, ma in realtà una vittoria privata di grande portata da parte del governo italiano e di Giulio Tremonti in specie.
Eppure, la riforma fiscale resta per ora una chimera. La scarsità di risorse nel bilancio pubblico non lascia pensare a possibili riduzioni della pressione fiscale complessiva. Saranno pensabili soltanto spostamenti del carico tributario da un comparto all’altro: per usare le parole del ministro dell’Economia “dalle persone alle cose”. Il tutto dovrà essere coordinato con i decreti sul federalismo fiscale che prevedono, tra l’altro, la nuova imposta municipale unica, l’addizionale regionale Irpef che a regime potrà essere aumentata fino al 2,1%.
Ovviamente i sindacati dei lavoratori – all’unanimità – ritengono necessario alleggerire il carico tributario sui dipendenti e pensionati (agendo con detrazioni) con particolare riferimento alle famiglie monoreddito, abbassare le aliquote Irpef sui redditi bassi e medi, portare la tassazione sulle rendite finanziarie al 20% (esclusi i Bot). In più, la Cgil propone anche una patrimoniale sulle ricchezze superiori a 800.000 euro, ipotesi che non compare tra le proposte di Cisl e Uil. La Confindustria e, con essa, tutte le altre organizzazioni dei datori di lavoro chiedono, naturalmente, sgravi alle imprese nell’ottica di sostenerne gli investimenti finalizzati allo sviluppo.
A valle di tutte queste richieste, è arrivata proprio ieri, gelida, la relazione del nuovo presidente della Corte dei conti, Luigi Giampaolino, il quale ha detto una cosa tanto giusta quanto ovvia, ma il suo averlo detto proprio all’insediamento ha fatto effetto: “La prolungata bassa crescita del Pil rende difficile fissare obiettivi di riduzione della pressione fiscale. È essenziale quindi non solo controllare la spesa pubblica ma, altresì, operarne una corretta qualificazione, affinché si possa non tanto spendere poco o meno ma, soprattutto, spendere validamente e oculatamente così da favorire la crescita e lo sviluppo, non solo economico, del Paese”.
Continua
È una parola. La verità è che, al netto delle proteste contro la povera Mariastella Gelmini, rea di aver apportato quei tagli al budget della scuola pubblica che era inevitabile apportare, e dei malumori dei ministri ai “no” del supercollega Giulio Tremonti che ha bloccato tutte le richieste di incremento di spesa, gli organici della pubblica amministrazione non sono in agitazione: il che vuol dire o che nessuno ne minaccia la consistenza numerica o che nessuno chiede loro di lavorare di più. E poiché l’efficienza della spesa pubblica transita proprio attraverso la professionalità dei pubblici impiegati, viene da chiedersi se tanta tranquillità non sia sospetta.
Se insomma è vero, come purtroppo è vero, che per tagliare le tasse bisogna, prima, tagliare la spesa, come mai la parola d’ordine che si taglierà il tagliabile non serpeggia già come una minaccia, una grana, una rogna, per le file degli statali? Tanta tranquillità depone male.
Ed ecco che la linea morbida varata dall’Europa al vertice di Deauville finisce, paradossalmente, col diventare un retro-pensiero pericoloso perché anestetizza, intorpidisce, frena lo stimolo a far di più: tagliare la spesa e tagliare le tasse per stimolare lo sviluppo e i consumi. Senza la spada di Damocle dell’Europa sul capo, la riduzione del debito attraverso una politica fiscale più efficiente, perché condotta a parità di entrate ma con uscite calanti, diventa chimerica.
Ci terremo le troppe tasse, e uno Stato inefficiente? Fin dall’inizio della legislatura, il ministro Tremonti garantisce che la chiave di volta sarà il federalismo. Speriamo. Con qualche diffidenza