Nessuno vuole cavalcare il pessimismo, ma nell’analizzare il decorso della crisi economica e finanziaria, ci sono molti dubbi sui tempi di una reale fuoruscita. “L’Occidente sembra, in questo momento, intronato”, dice Marco Fortis, vicepresidente della Fondazione Edison e docente di Economia industriale.

Chiedendo agli esperti e agli analisti che cosa stia succedendo in questo periodo, molte ipotesi e molte “letture della crisi e sulla crisi” vengono ridimensionate. Fortis, ad esempio, non crede affatto che possiamo essere alla vigilia di una nuova bolla immobiliare in Spagna: “La ripresa del mercato edilizio, sia in Spagna che in Gran Bretagna, è probabilmente una risalita dai livelli molto bassi in cui si era precipitati. Qualche cosa si muove perché c’è una risalita naturale e per il fatto che è stata iniettata molta liquidità.”



Ma sembra che, in certo senso, si ripeta un canovaccio già visto: bolle immobiliari e banche che ritornano a fare quello che facevano prima della grande crisi del 2008: trading, prodotti finanziari e via dicendo. Il professor Fortis stempera questa analisi dai toni forti: “Io non credo che ci sia il pericolo di una ricaduta violenta. Le banche, è vero, hanno ancora molti vizi, Faranno trading per abbellire un po’ i loro bilanci: ad alcuni riesce, ad altri, come Goldman Sachs, non è riuscito. Come abbiamo visto. Quindi, malgrado i vizi che ancora si vedono, non mi pare che sia questo il vero problema, il problema centrale”.



E allora quale è il problema centrale? “Lo si vede anche dalle discussioni che si stanno facendo in America. Il problema è che non c’è più crescita, che la crescita stenta. Noi avevamo visto negli anni Novanta un ‘Giappone intronato’, ora mi sembra di vedere un Occidente intronato, che non reagisce, che non cresce più. È questo il lato più preoccupante e non vorrei che questa situazione si prolungasse per un decennio come è appunto avvenuto in Giappone”.

Tutto il quadro che lei disegna, mi sembra, ridimensiona anche le critiche che si fanno al nostro ministro per l’Economia, Giulio Tremonti. C’è chi lo attacca da sinistra, c’è chi lo attacca anche nella sua maggioranza. Si dice che stia guardando solo ai conti pubblici e non crei stimoli per la ripresa. “A me sembra che qualcuno si faccia delle illusioni. Che cosa si può fare in questo momento? L’Italia non sta andando neppure male. Facciamo un paragone con la Germania. La differenza tra l’Italia e la Germania, che sarebbe la locomotiva europea, è che noi dobbiamo pagare una bolletta energetica salata, mentre il governo di Angela Merkel si tiene ben strette le sue centrali nucleari. Fate un conto sulle esportazioni. Noi non siamo affatto distanti dai tedeschi”.



L’economista Francesco Forte si sofferma soprattutto sulla situazione italiana e difende l’operato di Giulio Tremonti: “Innanzitutto le politiche di crescita non dipendono dal ministero dell’Economia. E poi mi sembra che sia il ministro dell’Economia che il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi si stiano muovendo bene in questa situazione di crisi. Noi dobbiamo guardare al Paese per vedere quali sono i veri problemi che dobbiamo affrontare”.

 

Francesco Forte indica: “Il capitolo della produttività. Se non si affronta il problema della contrattazione collettiva in termini più flessibili è difficile recuperare produttività. Da questo punto non se ne esce. E aggiungo che qui ci troviamo di fronte anche a un fatto culturale”. Ma Forte non si ferma e mette in fila altri fatti culturali: “In questo Paese, e veniamo a un altro capitolo del problema, è difficile investire. Noi potremmo fare solo l’elenco infinito degli ostacoli che si trovano di fronte a chi vuole investire. Persino per gli investimenti pubblici ci troviamo di fronte alle lobby degli architetti, a questioni urbanistiche. Non è concepibile che un paese sia costellato da tanti ostacoli. Aggiungiamo poi la cultura della magistratura. Qui escono dalle università e da facoltà di legge, che non contemplano più discipline economiche come un tempo, magistrati che parlano solo di questioni finanziarie ed economiche, di cui non sembrano comprendere molto. L’atteggiamento verso chi investe è quello di una sorta di speculatore che immediatamente viene demonizzato. Per quale ragione allora qualcuno dovrebbe investire in Italia?”

 

E il comportamento delle banche in questo periodo? “Mi limito a guardare la generazione dei nostri banchieri. Quelli che lavorano nelle banche territoriali, quelli che sono nelle ‘popolari’ hanno una grande competenza e stanno facendo un ottimo lavoro. Ma se guardo ai banchieri dei nostri grandi istituti di credito mi rendo conto che appartengono a una nuova generazione, quella dei banchieri-finanzieri, non quella dei banchieri che guardavano allo sviluppo industriale. Detto in altre parole, rimpiango la vecchia Comit, la Banca Commerciale Italiana con tutto il suo patrimonio di conoscenze e di know how”.

 

(Gianluigi Da Rold)