Big Society vuol dire condividere a monte un’ idea di uomo che sviluppa la sua individualità come persona che si raccorda con altre persone per il tramite di enti intermedi  pubblici e privati che sono la condizione indispensabile per attuare la sussidiarietà.

A valle, la Big Society, in italiano, si traduce operativamente come “filiera sussidiaria aziendale” composta da imprese sociali “di sistema” (associazioni, cooperative mutualistiche e sociali, fondazioni, comitati, ong ) ed “ex lege” (L.118/05,D.Lgs.155/06  e decreti attuativi) e imprese private profit che producono beni e servizi di utilità sociale per l’interesse generale e per il bene comune. La sfida è passare dal principio di sussidiarietà in termini di mission politica e di principio giuridico all’operatività incidente nel sistema tramite i risultati di bene comune perseguiti dalle imprese sociali profit e non profit. Altrimenti è narrativa convegnistica.



Nell’impresa sociale non profit si integrano la mutualità interna ed esterna che diventa operativa nell’implementazione della sussidiarietà orizzontale. Essa struttura la “concorrenza collaborativa” e si inserisce nel processo di tendenza a una integrazione sempre più consistente fra pubblico e privato, non tanto in un possibile arretramento dello stato a vantaggio di diversi operatori privati, ma nella migliore combinazione fra capacità regolativa dello stato e capacità produttiva del privato rappresentato dalle imprese sociali.



La concorrenza collaborativa fra stato e imprese sociali trova nella sussidiarietà un principio sociale-economico che è un  processo. Il principio di sussidiarietà si attua e attualizza tramite il sistema di “sussidiarietà aziendale” che è composto da una o più filiere sussidiarie attive per il raggiungimento degli obiettivi/risultati del sistema stesso e percepiti/fruiti dai cittadini.

La relazione fra le aziende della filiera è biunivoca. Attraverso una progressiva ridefinizione concordata delle funzioni aziendali del rapporto sussidiante/sussidiato, degli ambiti di controllo del sussidiante (origine della filiera) e del fruitore (fine della filiera) e un concomitante e progressivo aumento dell’autonomia del sussidiato, si attua un circolo virtuoso di crescita che si alimenta nella reciprocità dei rapporti funzionali e aziendali.



Tutto ciò al fine di mantenere la costanza di funzione di interesse generale tramite servizi di utilità sociale prodotti ed erogati dall’impresa sociale. Ed essa presidia la coerenza strategica ove si conciliano operativamente le strategie di “partnership” fra pubblico e privato e fra privato e privato. In essa si conciliano le combinazioni dei fattori di produzione e di consumo a fronte di un coordinamento di operazioni economiche il cui modello è stato concordato “ex ante” e di cui la persona e la “ricchezza” condivisa sono elementi vitali.

Le caratteristiche della “filiera sussidiaria aziendale”, intesa come processo di integrazione aziendale, (e quindi di integrazione di attività) sono:

continuità ove si deve sviluppare la coerenza alla programmazione sussidiaria del sistema per il tramite dell’attività integrata fra lo stato (nella sua articolazione) e le imprese sociali;

assetto progressivo ove si deve mantenere un costante ed equilibrato dinamismo temporale. Spirito cooperante ove il processo di filiera sussidiaria si basa sull’opzione cooperativa finalizzata al bene comune e collettivo;

sequenzialità composta da aziende pubbliche e aziende non profit/for profit in combinazioni diverse e tali da convergere verso risultati (outcome) di produzione di utilità pubblica correlata allo sviluppo economico e finanziario, all’ erogazione di beni e servizi sincroni e adeguati alla domanda (espressione del bisogno) della comunità come insieme di persone/cittadini con cittadinanza o soggetti istituzionali (aziende pubbliche o private);

integrazione organica di aziende che realizzano il dinamismo aziendale della filiera sussidiaria. Le relazioni organizzative non si basano solo ed eventualmente sulla similitudine di organigrammi, funzionigramma e ruoli ma, in prevalenza, tramite collegamenti di condivisione dei risultati da raggiungere e quindi scelte organizzative che facilitano tali risultati;

relazione di feedback fra le varie aziende e quindi processo di valutazione esterno determinato dai fruitori/clienti dei beni/servizi di utilità pubblica prodotti o erogati e interno alla filiera stessa determinato da autovalutazioni e reciproche valutazioni aziendali che migliorano i livelli di performance/output intermedio da raggiungere per avere risultati di soddisfazione del sistema a cui si appartiene ed in cui si opera;

Capacità di lettura dell’“ex-ante” di contesto in cui si inserisce la “filiera sussidiaria” e quindi monitoraggio del processo di produzione/erogazione e lettura dell’“ex-post”/cambiamento della realtà. Quindi processo completo “input-output-outcome” con verifica che innesca una circolarità virtuosa e sedimenta la ricchezza economica e sociale del sistema;

valorizzazione dei risultati dell’attività della “filiera sussidiaria” attivando strumenti di verifica quantitativa dei risultati raggiunti (per esempio il bilancio d’esercizio e il bilancio sociale in una prospettiva di bilancio socio-economico);

trasversalità culturale degli operatori che devono condividere i principi della “vision” da cui traggono azioni non omologhe e standardizzate, ma comunque standardizzabili in competenze che raggiungono risultati coerenti alla vision stessa;

logica dell’equilibrio dell’utile da trasferire al destinatario dell’utile finale e quindi un risultato di utile inteso come equilibrio economico finanziario che remunera i fattori produttivi e persegue un differenziale positivo di gestione per dare dinamismo all’impresa sociale.

Questa  la Big Society tradotta in italiano di cui però abbiamo già un vocabolario concettuale e operativo sedimentato nella società.
 

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