“Ah l’America, l’America è un altro pianeta. Lì si che si può fare business, perché ci si muove in un sistema che funziona, con un’amministrazione che decide, con delle regole che sono chiare. Lì c’è certezza ed è quella che noi uomini d’affari cerchiamo”.
Quante abbiamo sentito frasi come queste pronunciate in pubblico e in privato da nostri imprenditori, finanzieri, banchieri? Infinite, sono quasi una litania che si ripete da anni, sottintendendo che da noi le cose vanno invece in maniera opposta, che gli imprenditori in Italia sono lasciati in balìa di un principe imprevedibile, che decide giorno per giorno, non ha un disegno strategico, cambia sempre idea.
Adesso però le cose sono un po’ cambiate. Non nel senso che l’Italia si è avvicinata al modello americano, ma nel senso contrario. Non c’è stato un avanzamento del nostro Paese verso il modello statunitense, ma un arretramento di quest’ultimo verso i nostri lidi e le nostre abitudini. Almeno per quanto riguarda il tema dell’incertezza che sembra aver superato lo stretto di Gibilterra, attraversato l’Atlantico come una forte corrente, per approdare nel nuovo mondo con la sua carica contagiosa.
Gli imprenditori e i finanzieri che sono in affari con gli Stati Uniti, infatti, da qualche tempo colgono un mutamento, un sentiment come si dice in termini tecnici, che non erano abituati a incontrare da quelle parti.
Le prossime elezioni cosiddette di mid term, fissate per il 2 novembre, dovrebbero registrare un’affermazione del partito repubblicano a scapito dei democratici del presidente Barack Obama. Almeno tutte le previsioni e i sondaggi (si registra una quasi unanimità su questo punto) parlano di un Congresso destinato a passare, in maggioranza, all’opposizione. E questo, ovviamente e inevitabilmente, renderà ancora più difficile il cammino di Obama nella seconda metà del suo mandato.
Un problema per chi fa affari perché creerà un clima di incertezza. Anzi, creerà non è il termine appropriato, perché – secondo molti italiani che hanno consuetudine di business negli Stati Uniti – è da molti mesi che in America si respira quest’aria. Obama non è propriamente un decisionista. È un comunicatore, fa grandi annunci, ma poi la sua politica, nei fatti, è piena di tentennamenti.
Lo è in politica estera-militare, specie nelle due partite essenziali dell’Iraq e dell’Afghanistan; lo è nei rapporti con la Cina, il Paese che sta scalzando l’America dal gradino più alto delle potenze mondiali e rifiuta di rivalutare la sua moneta; lo è nella riforma della finanza, dove sostanzialmente, dopo aver tanto tuonato, Obama non ha inciso in maniera apprezzabile sullo strapotere di Wall Street; lo è in materia fiscale.
E quest’ultimo punto rappresenta un tasto davvero dolente per il mondo degli affari: chi ha in programma investimenti, vuole sapere con assoluta certezza con quale regime fiscale dovrà confrontarsi, perché avrà effetti decisivi sul ritorno degli investimenti stessi. Obama fa innumerevoli dichiarazioni sull’argomento, ma ancora non ha assunto posizioni precise, non si sa con chiarezza quali decisione prenderà la sua amministrazione.
Così, in attesa di vederci chiaro, molti investimenti vengono rimandati, tenuti fermi nei cassetti; i consigli di amministrazione non decidono, preferiscono temporeggiare. Un po’ come succede in Italia, dove il vivere alla giornata in attesa di lumi dal Palazzo, è una tradizione consolidata. Che ha creato molti intralci all’economia. E ora rischia di far danni anche in America.
Joe Klein, editorialista del Time, ha scritto che gli americani “si sentono fregati da destra e da sinistra”, perché nessuna delle due parti garantisce il mantenimento del modello economico che per decenni ha garantito benessere e sicurezza al Paese. Però almeno i repubblicani “propongono soluzioni più chiare: abbassare le tasse e ridurre la spesa pubblica”. Invece Obama affronta i problemi, li sviscera, ma quando si deve passare alla decisione tentenna. No good for business.