L’economista Mario Deaglio guarda con razionalità e lucida freddezza alla questione che oggi si pone, in modo piuttosto concitato soprattutto sui giornali e sui canali televisivi: la questione è il metodo Marchionne.
L’amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne, affronta i problemi spesso in modo “brutale”, tipico di un grande manager che ha una formazione anglosassone. Ma ha anche il pregio, spesso raro in Italia, di affrontare i problemi, di non aggirali o schivarli, e di porre delle soluzioni possibili e anche ragionevoli.
“A mio parere Marchionne fa il suo mestiere – dice Mario Deaglio -. Fa il manager di una grande società multinazionale. E si rende conto che l’Italia ha accumulato una serie di svantaggi. I temi che pone sono ormai imprescindibili se si vuole rilanciare un’impresa e valgono anche per l’economia di un Paese: competitività, mercato del lavoro, produttività. Certo, l’amministratore delegato della Fiat si rende conto che non c’è solo un problema di contratti di lavoro, che da noi sono accordi più rigidi che nel resto del mondo. E a questi svantaggi e ritardi italiani, occorre aggiungere una serie di altri problemi: i costi energetici che sono il doppio, ad esempio, di quelli della Germania; l’impalcatura amministrativa inefficiente; i nodi della fiscalità, persino le infrastrutture e i trasporti che funzionano sempre meno. In definitiva, mi pare che gli italiani non si rendano conto di quello che sta avvenendo negli altri Paesi del mondo industrializzato”.
Sembra quasi un fatto culturale, professore.
A mio parere è un problema soprattutto culturale. Provi a sfogliare i giornali di oggi e poi faccia una breve ricerca sui quotidiani e sui giornali di trenta anni fa. Si renderà conto perfettamente che ormai c’è come una chiusura di orizzonti. Le pagine dedicate alle notizie estere, cioè le pagine degli Esteri per usare un linguaggio giornalistico, si sono ridotte moltissimo. È come vivere in una sorta di isolazionismo culturale. E anche su quelle pagine che restano, ci si sofferma più sui pettegolezzi, come ormai in tutto il resto del giornale, piuttosto che informarsi su quello che avviene in grandi Paesi nei fatti relativi all’organizzazione del lavoro, della produzione, della competitività.
È questo un altro fatto che provoca il ritardo italiano, l’accumularsi di grandi svantaggi?
Mi sono permesso in un articolo di parlare di “cecità mediatica”, che produce effetti sorprendenti. Analizzo ad esempio l’effetto-calcio, gestito con grande sapienza indubbiamente e in un settore dove girano molti soldi. Allora, siamo l’unico Paese al mondo che ha tre o quattro quotidiani sportivi che, insieme alle televisioni, spalmano le notizie di calcio per tutta la settimana. Chi è stato squalificato e perché; le accuse alla Lega calcio; le probabili vendite e i probabili acquisti; le moviole. Botta e risposta, stillicidio continuo di notizie che si risolvono tutte in una frase. Alla fine il metodo viene esportato in altri settori della vita, anche in quello della vita economica. L’altro giorno un giornalista mi chiedeva: mi può riassumere in una frase come si può rilanciare l’Italia? Ho risposto in questo modo: guardi, mi dia una ventina di giorni di tempo e lo spazio di trecento righe di giornale per cercare di affrontare i problemi principali e poi avanzare delle soluzioni. Non è possibile schematizzare tutto in una serie di slogan, dopo aver già limitato gli orizzonti.
Lei non pensa che il richiamo alla realtà della produttività e della competitività che fa Marchionne sia posto in maniera troppo brusca?
Ma che cosa deve fare un manager, impegnato in programmi e conti che deve rispettare nell’interesse dell’impresa? E si impegna pure a creare diecimila posti di lavoro. I grandi innovatori dell’economia italiana non avevano un carattere malleabile. Insomma, i contratti basati sulla produttività sono già stati fatti in diverse realtà italiane. È evidente che se ci si ferma al chiacchiericcio e a certe proposte come “lo sciopero del sabato fino al 2014” diventa difficile trovare accordi e risolvere i problemi.
Come giudica l’ultima frase di Marchionne, che ha scatenato i media: i conti della Fiat andrebbero meglio senza l’Italia?
Può anche pensarlo veramente. Oppure può averlo detto per provocare, per stimolare un accordo in tempi ragionevoli. Posso anche aggiungere, come sensazione, che quella frase è stata detta in un colloquio televisivo dove il conduttore cercava una risposta di quel tipo. Mi è sembrato proprio che si volesse portare Marchionne a rispondere in quel modo.
(Gianluigi Da Rold)