Le agenzie di venerdì scorso hanno annunciato che la Rai prevede di chiudere questo esercizio “con uno squilibrio che oscilla fra i 115 e i 118 milioni di euro”. Il direttore generale, Mauro Masi, commentando durante la trasmissione Tg2-Puntodivista questo dato, onestamente poco entusiasmante, ha detto che “si tratta di uno squilibrio importante, ma che può essere gestito da un’azienda sana e forte come la Rai”.
In più, ha promesso che nel giro di un paio di anni tutto si sistemerà: “Quello che stiamo realizzando – ha assicurato – è un piano industriale condiviso in maniera unanime dal Consiglio di amministrazione che prevede, con le sole forze della Rai, di portare il bilancio in pareggio entro il 2012 affrontando per la prima volta in maniera concreta i problemi strutturali che si sono accavallati in Rai in decenni di trascuratezza”.
Definito da Il Foglio “un gran commis con esperienze bipartisan che nasconde dietro i baffi il segreto per volare senza farsi male”, Masi è in effetti un signore che sa come muoversi nel cosiddetto Palazzo. Nato a Civitavecchia 57 anni fa, laureato in economia, servizio militare assolto da carabiniere nel Battaglione Tuscania, è stato prima in Banca d’Italia, poi alla presidenza del Consiglio dove ha svolto la parte più significativa della sua carriera sotto vari capi di governo e con diversi incarichi, fino a quello di segretario generale di Palazzo Chigi.
È stato anche vicepresidente della Commissione che si è occupata della campagna di lancio dell’euro e ha ricevuto il premio quale migliore comunicatore per il 1997. Con queste credenziali, il 2 aprile 2009, è stato portato da Silvio Berlusconi alla direzione generale della Rai. E tutti hanno detto: non sarà un passacarte, prenderà decisioni che faranno parlare.
E così è stato. La prima decisione è stata portare RaiSat fuori dalla piattaforma di Sky. Una mossa che – è polemica di questi giorni – rischia di costare alla Rai una cifra consistente, si parla decine di milioni di euro. Che adesso le farebbero molto comodo visto che deve affrontare due problemi non da poco sul fronte finanziario: uno (contingente) è il calo della pubblicità che ha colpito tutta l’emittenza televisiva, e dunque anche la Sipra (concessionaria dell’azienda pubblica); l’altro (strutturale, per dirla alla Masi) è rappresentato dall’evasione del canone stimata attorno al 40 % del totale, nel senso che quattro italiani su dieci, pur possedendo un apparecchio televisivo riescono a non pagare l’abbonamento e non c’è stato, finora, alcun modo per convincerli a fare il contrario.
Adesso Masi dice che rimetterà tutto in ordine nel giro di due anni. Il direttore generale sa, da buon comunicatore qual è, che un capo azienda deve sempre ostentare sicurezza e chiarezza di idee quando parla degli obiettivi, e dunque applica questa ricetta. Il fatto è che Masi non sa se fra due anni sarà ancora al suo posto, oppure se il promoveatur ut amoveatur toccherà anche a lui, come a tanti sui predecessori che hanno dovuto rinunciare a quell’importante poltrona (ma non all’altrettanto importante emolumento) per via dei capricciosi voleri dei politici di turno. Quindi il suo piano con obiettivo pareggio entro il 2012 è un po’ fatto di parole gettate al vento. Non perché non sia credibile Masi: lo stesso varrebbe per qualsiasi altro direttore generale. Il punto è che non si può giudicare con criteri aziendali un’azienda che tale non è.
Qual è il modello di business della Rai? La sua missione originale (era stata concepita come servizio pubblico, ricordate? Ma avveniva in un passato così lontano da sembrare giurassico) è stata dimenticata per strada e non importa adesso stabilire come e perché, e se sia stato giusto o sbagliato. Da decenni ormai è un concorrente della tv commerciale con la complicazione che il padrone di quella tv è anche il capo del governo (non sono un fanatico del conflitto di interesse, ma non si può neppure far finta che sia elemento irrilevante dal punto di vista aziendale).
In più nelle assunzioni, nella scelta di collaboratori, nell’affidare lavori a fornitori esterni, deve ascoltare politici di ogni orientamento (sono presenti tutti e molto attivi) che hanno esigenze, amici, fidanzate, suocere (particolarmente costose queste ultime) da accontentare. E come si fa a far quadrare un bilancio in questa maniera? Ma neanche Jack Welch, per anni alla guida della General Electric e giudicato fra i migliori manager di tutti i tempi, ci riuscirebbe.
Ma poi perché continuiamo a parlare della Rai come di un’azienda? Non lo è. È qualcosa di diverso, nel bene e nel male. È come la Salerno-Reggio Calabria: non è un’autostrada. L’unica soluzione sarebbe chiuderla a farne una nuova. Ma non si può e ce la teniamo com’è. Ogni tanto si fa finta che sia un’impresa, qualcosa di gestibile con razionalità e criteri meritocratici. Si parla di ingresso di privati, quotazione, e altre amenità. Ma lo sappiamo tutti: si fa tanto per dire. È una fiction.