Il miracolo del calabrone Fiat continua. Da una parte la frana delle vendite in Europa, a partire dall’Italia, che permette alla casa di Mirafiori di detenere, senza troppa concorrenza, la “maglia nera” tra i big a quatto ruote. Dall’altra, la corsa in Borsa. Nessuno al mondo ha fatto meglio del gruppo del Lingotto negli ultimi sei mesi: il 54,9% in più. Con una forte accelerazione, per giunta, nell’ultima settimana, sull’onda di una raffica di notizie e di anticipazioni di vario genere. Nell’ordine:



A) Le “riflessioni” di Sergio Marchionne di venerdì 12 novembre, davanti a uno scelto gruppo di analisti finanziari, approdati al Lingotto per ricavare informazioni o, quantomeno, sensazioni sul futuro del gruppo post spin-off. Il vertice con il numero uno di Fiat non ha certo deluso, a giudicare dai report, stranamente espliciti, che hanno acceso i riflettori sul gruppo.



B) Marchionne ha lasciato, in quell’occasione, aperta la porta a ipotesi (o qualcosa di più) a dir poco esplosive: la possibilità di cedere Magneti Marelli (possibili acquirenti i private equity Cinven e Tpg); l’eventuale cessione di Alfa Romeo, ma solo “di fronte a un’offerta indecente”, nell’ordine dei 20 miliardi, cioè più meno quello che capitalizza la stessa Fiat in Borsa; la cessione di una quota di minoranza della Ferrari, di cui oggi il gruppo torinese, dopo aver liquidato il fondo Mubadala, possiede il 90%. Prezzo di vendita? Non meno di un miliardo per il 30%. O forse di più.



C) Di fronte a questi numeri è passata in seconda posizione la vertenza di Mirafiori. L’impianto simbolo della “vecchia” Fiat chiuderà i battenti, causa la crisi della domanda, dall’inizio di dicembre fino all’11 febbraio. Quando le tute blu torneranno al lavoro troveranno almeno due novità: 1) faranno parte di una società più piccola, dedita solo all’auto, in attesa di stringere i legami con i cugini di Chrysler; 2) avranno, probabilmente, un nuovo contratto modello Pomigliano, regalo di Natale, più o meno desiderato. Poi ci sarà, eventualmente, la “lotta”. Ma sono in pochi a farsi illusioni: in uno stabilimento che produce modelli come Multipla o Musa, che ogni mese registrano un calo di vendite tra il 30% e il 40%, la minaccia di sciopero ha ben poco valore.

D) Intanto Marchionne, che sa trovarsi al posto giusto nel momento giusto, è volato alla volta di Los Angeles, per la vernice del salone della West Coast. La “sua” Chrysler presenta la bellezza di 12 modelli. Ma, soprattutto, nelle vetrine del Motor City Hall di downtown sono arrivate da Toluca, Messico, le prime 500 a 6 marce, cambio automatico, che dal 5 gennaio saranno vendute negli show room degli States. Al di là del successo, comunque assicurato all’inizio da un’ottima operazione di marketing, è la conferma che Fiat e Chrysler sono sempre più vicine. Nel 2011, il lancio delle prime Fiat e delle prime Alfa a stelle e strisce consentirà a Marchionne di procedere all’aumento dal 20% al 25% della quota Fiat a Detroit. Intanto, con il marchio torinese, Jeep e Suv di Detroit fanno il loro ingresso in Cina, precedendo i prodotti pensati a Torino: ma chi l’ha detto che il gruppo non ha i nuovi modelli?

E) Ma super-Sergio è riuscito a far coincidere il lancio della 500 americana con l’esordio di Gm a Wall Street. Dato che si tratta di un uomo fortunato, si è trattato di un esordio boom (+9%). Perché conta tanto il debutto di Gm agli occhi del ceo di Chrysler? Perché a metà del 2011 anche la più piccola dei Big di Detroit farà ritorno a Wall Street con la benedizione del presidente Obama e la “protezione” della finanza Usa che è stata assicurata a Gm. La Sec, dopo aver permesso a Gm di presentarsi al mercato con un goodwill di 40 miliardi (contro debiti per 33), non sarà più severa con Chrysler. Anzi, data la risposta del mercato non è affatto azzardato pensare a una capitalizzazione di 24-25 miliardi di dollari: un affare d’oro per la Fiat che, grazie a Marchionne e solo a Marchionne, si è assicurata il 20% gratis.

 

F) Anche i tempi dell’operazione spin off rasentano la perfezione: il mondo dell’auto, nel bel mezzo della crisi, è al centro di un processo di aggregazioni che stanno attraendo l’attenzione dei mercati finanziari, come dimostrano, tra l’altro, le attenzioni di Magna e di Vincent Bolloré per la Pininfarina. O l’eroico, se non temerario, impegno di GianMario Rossignolo per Termini Imerese. Non solo. Anche il mondo dei veicoli industriali è in fermento, come dimostra il prossimo “merger” tra Scania e Man, con la benedizione di Volkswagen. Non è difficile prevedere che presto anche Iveco, affidata alle cure del collaboratore numero uno di Marchionne, Alfredo Altavilla, rientrerà nel giro delle anticipazioni.

 

Che dire dopo questo lungo elenco? Marchionne, come un trapezista, sa che non si può interrompere il volo a metà tragitto. Ed è consapevole che, sotto di sé, non c’è una rete. Ma le “sue” Fiat, sia quella dell’auto che Industrial, sono lanciate verso un posizionamento di grande interesse nell’economia globale.

 

Non si può dire lo stesso della realtà della fabbrica italiana. Ma questo non dipende più da lui: Marchionne, che detta le sue istruzioni via Blackberry (senza perder tempo al telefono) ai 25 manager che riportano direttamente a lui, ha già dettato le sue condizioni. Prendere o lasciare. 

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