Quando un’autorità tecnica e morale come il Prof. Savona suggerisce di valutare l’opzione dell’uscita dall’Italia dall’euro per farle recuperare possibilità di crescita, non si può reagire solo affermando in generale l’impossibilità o il costo devastante di tale alternativa, mia prima reazione istintiva, ma bisogna approfondire gli eventuali scenari.



I punti critici, semplificando, sarebbero tre: (a) gestione del debito in fase di conversione dall’euro alla nuova moneta nazionale; (b) fuga del risparmio degli italiani verso monete “forti”; (c) pressioni, in particolare della Germania, per limitare la svalutazione competitiva della neolira italiana.

Anche i contesti possibili dell’evento dell’evento sono tre: (1) crisi sistemica dell’euro e ritorno concordato alle monete nazionali; (2) crisi parziale con uscita di alcuni e creazione di un “nucleo euro” fatto di Germania, Francia, e qualche altro; (3) uscita per decisione sovrana dell’Italia non in stato di insolvenza del debito. Il terzo non riesco a immaginarlo, ora. I primi due non sono escludibili, il secondo con più probabilità.



A un certo punto il costo di rifinanziamento del debito diventa così insostenibile, il rigore richiesto dagli eurocriteri influenzati dalla Germania così portatore di deflazione e dissensi interni, che un governo italiano decide di mollare l’euro stesso per dotarsi della flessibilità monetaria e di bilancio necessaria a reflazionare il sistema.

Come minimizzare l’impatto? L’azione avverrebbe in ambiente assistito, perché l’insolvenza totale di un debito sovrano pari a più di due trilioni di dollari, pur posseduto in buona parte da cittadini italiani, ha la scala e la diffusività per destabilizzare l’intero sistema finanziario globale. Pertanto Fmi, Eurozona residua, Ue timorosa che le uscite parziali la spacchino, ecc., certamente accompagnerebbero l’Italia nella riconversione per condizionarla.



Ci sarebbe una soluzione per il debito? Il dichiararne l’insolvenza metterebbe l’Italia per decenni tra gli inaffidabili con danno fatale al suo ciclo del capitale. Si potrebbe convertire il debito nella nuova lira e continuare a pagare gli interessi come dovuti senza dichiarare l’insolvenza. Ciò provocherebbe una svalutazione comparativa dei titoli di debito italiani, ma inferiore a quella dell’insolvenza e, soprattutto, con la possibilità di essere ridotta nel futuro al migliorare del cambio della nuova valuta. Per almeno un triennio, la Banca d’Italia dovrebbe comprare titoli di debito per rifinanziarlo a costi sostenibili, cioè stampare moneta e fare inflazione a scapito del valore di cambio.

A occhio, la nuova lira, all’inizio, avrebbe un cambio attorno allo 0,50 in relazione all’euro residuo e circa allo 0,70 in relazione al dollaro. L’export e il turismo italiano andrebbero in boom, con crescita del Pil tra il 4% e il 7% per un lustro. Ma in fase di conversione i risparmiatori sposterebbero i depositi in euro fuori dall’Italia. Per evitarlo i conti bancari dovrebbero essere congelati temporaneamente a sorpresa e le nazioni in euri residui stamparne di nuovi con altre caratteristiche identificative.

 

Fino a qui cosa guadagneremmo e perderemmo? Rischieremmo una crisi bancaria, una rivolta dei risparmiatori e un rialzo dell’inflazione, ma avremmo più crescita dell’economia reale e un minore peso del debito in termini di interessi. Ma la nostra svalutazione competitiva, se oltre misura, metterebbe in grave difficoltà le nazioni che restano in euro e queste minaccerebbero dazi contro l’Italia che ne penalizzerebbero gravemente l’export intraeuropeo. Pertanto emergerebbe un compromesso di svalutazione ammessa, ma questo ridurrebbe il vantaggio dell’uscita dall’euro dando più peso ai rischi.

 

Per contenerli bisognerebbe comunque abbattere una parte del debito, almeno il 20%, attraverso una formula mista di prelievo forzato dai conti bancari (tipo Amato 1992) e di liquidazione parziale del patrimonio pubblico, mettere in Costituzione il divieto di deficit annuo, cioè aumentare di molto il rigore (e le restrizioni ai consumi energetici) in relazione al presente. In sintesi, non sarebbe necessariamente una catastrofe, ma non lo sarebbe perché comunque vincolati a un binario d’ordine imposto dall’esterno che limiterebbe i vantaggi della flessibilità.

 

Per questo mi chiedo che senso avrebbe l’uscita dall’euro in condizioni di aumento di rigore e non tanto vantaggio di crescita. Tanto vale restare a parità di rigore. A Savona questo non può essere sfuggito. Così come non è sfuggito che se restiamo nella gabbia la Germania ci impedirà la crescita. Pertanto ritengo che in realtà, dicendo Italia, stia pensando a una soluzione di dissoluzione di tutta l’Eurozona. Qui lo scenario si farebbe molto più interessante e l’ipotesi più salvifica, per noi. Anzi, per tutti gli europei.

 

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