Et voilà, alla fine l’Irlanda ha smesso di negare l’evidenza ed è corsa con il cappello in mano da Ue e Fmi: 80-90 miliardi di euro, questa l’entità del piano di salvataggio per evitare il crollo del sistema bancario e cercare di rimettere a posto i conti pubblici partendo da uno sconfortante deficit al 32% del Pil.
Tutto bene, quindi? No, visto che fra tre giorni il governo è destinato a perdere un’elezione suppletiva che lo porterà a una risicata maggioranza di due deputati, un po’ pochino per pensare di far approvare senza problemi una finanziaria da 6 miliardi di euro (per un paese di 4,5 milioni di abitanti!): tanto più che ieri i Verdi, alleati di governo dei Fianna Fail, hanno chiesto ufficialmente elezioni anticipate. Quindi, ulteriore instabilità politica: una manna per chi investe e specula.
Ma al di là dell’avervi ragguagliato sulle ultime novità, tutte le altre righe di cui si comporrà questo articolo sono inutili: no, non si tratta di un crollo dell’autostima, ma della convinzione che questi due grafici parlino più di mille articoli riguardo la delicatezza della situazione che ci troviamo a vivere.
Il primo offre dati aggiornati al 15 novembre dell’esposizioni verso i cosiddetti Piigs e le loro banche degli altri partner europei, il secondo è stato pubblicato dal New York Times e mostra le esposizioni incrociate (convertite da euro in dollari) dei cinque paesi traballanti dell’eurozona: ossia quanto le banche dell’uno hanno comprato di titoli pubblici dell’altro e quanto rischiano di perdere se uno degli Stati fa default. Il grafico vorrebbe dimostrare la debolezza e l’irresponsabilità dei deboli, ma in realtà dimostra ben altro, ossia che a rischiare di più sono le banche e gli investitori dei paesi del cosiddetto nucleo forte, in primo luogo la Germania. La grossezza delle frecce è rivelatrice: quelle che uniscono i Piigs sono relativamente sottili, mentre sono presenti frecce grosse e spesse che esprimono i debiti dei Piigs verso Germania, Francia e Gran Bretagna.
L’Italia, che ha un debito di 1.400 miliardi di dollari, ne deve 511 alla Francia: il che significa che le astute banche francesi hanno comprato titoli di debito italiani per una cifra pari al 20% del Prodotto interno lordo francese. E le banche tedesche? Hanno in pancia 184 miliardi di dollari di Buoni del Tesoro irlandesi, 238 miliardi di titoli spagnoli, 190 di italiani, 45 miliardi di titoli greci e 47 di titoli di debito portoghesi. Fatte le somme, le banche tedesche sono esposte per oltre 700 miliardi con i PIIGS: se fa bancarotta l’Irlanda e se il contagio si espande al Portogallo – e poi irresistibilmente alla Spagna e magari all’Italia -, ossia se questi Paesi smettono di pagare gli interessi, ad andare a picco sono prima di tutto le banche di frau Merkel.
Insomma, come per il salvataggio della Grecia, anche quello irlandese è sostanzialmente un salvataggio delle banche creditrici: nel caso di Dublino, oltre alla Germania esposta per circa 101 miliardi di euro, gli istituti britannici con prestiti per 140 miliardi di sterline, con in testa la nazionalizzata Royal Bank of Scotland esposta per 50 miliardi. Insomma, il problema non è il mero contagio tra i Piigs, ma il fatto che questa reazione a catena rischia di minare le fondamenta dei paesi forti, portando con sé la fine stessa dell’eurozona.
Il rischio di contagio, d’altronde, è palese. Il Portogallo, oggi, ha un deficit al 10,3% del Pil, con previsione dell’8,8% per l’anno prossimo e dell’8% per il 2012: unite a questi dati tagli di draconiana austerity ed ecco a voi il peggior profilo d’Europa. Anche perché, stando al Fmi, «più sarà persistente lo sbilancio, più il rischio di aggiustamento sarà improvviso e distruttivo»: insomma, una situazione come quella lusitana necessita di una mole impressionante di finanziamento esterno, fonte che però può essere chiusa dalla sera alla mattina.
Inoltre, nonostante la sua traballante situazione, l’Irlanda stessa vanterà l’anno prossimo un surplus dello 0,7% e del 3,2% nel 2012, grazie alla ripresa garantita dall’export di prodotti farmaceutici e di alta tecnologia. Inoltre, poi, il Portogallo sta mettendo in campo il peggio dell’atteggiamento greco: nonostante i dati del governo parlino di un debito pubblico all’86% del Pil, il leader dell’opposizione Pedro Passos Coelho due giorni fa ha accusato la maggioranza di falsare i conti, visto che il livello reale del debito sarebbe del 122%. E pensate che questo non è il principale problema di Lisbona, visto che il tasto dolente è quello del debito privato, uno dei più alti del mondo a quota 239%, stando a dati di Deutsche Bank.
Inoltre, pur non essendoci bolle in stile spagnolo, il Portogallo sconta la fisiologica dipendenza delle proprie banche dal finanziamento esterno, qualcosa come il 40% degli assets totali: non vi ricorda Northern Rock? Unite a questo la rigidità dei rapporti di lavoro, i trasferimenti alla spesa sociale saliti al 22% del Pil dal 18,5% del 2005 e la produttività ferma al 64% dagli anni Novanta e avete il quadro generale. E pensare che a quell’epoca, però, era ancora in surplus sui suoi conti esterni: la “trappola” di questa eurozona forzata è stata letale, il Portogallo ha detto sì all’eurozona con venti anni di anticipo e ha visto la sua competitività distrutta dal boom, la sua industria low-tech massacrata dalla competizione cinese e dell’Est Europa e da una moneta unica a denominazione tedesca.
Se il Portogallo dovesse avere bisogno di essere salvato in stile irlandese, il conto totale per lo European Financial Stability facility salirebbe a quota 300 miliardi: un’asticella che continua ad alzarsi in maniera allarmante. Cosa succederà, infatti, se nel 2011 la Spagna dovesse tornare in recessione, le sue banche rendersi conto della reale entità delle perdite legate al ramo immobiliare e le sue aziende far fatica a ripagare i propri prestiti esteri? Cosa succederà se il rendimento dell’obbligazione decennale spagnola salirà sopra quota 5%?
Chiedetelo alla signora Merkel, a mio avviso l’Europa a due velocità è sempre più prossima. Anche perché per Peter Chatwell, analista presso Credit Agricole a Londra, «il salvataggio irlandese servirà solo nel breve termine, non penso proprio che potrà togliere dalla linea del fuoco Portogallo e Spagna». Stesso giudizio per Carsten Brzeski, economista a ING: «Servirà il salvataggio ad evitare il contagio? Solo a breve termine, non a medio. Servirà soltanto a calmare i mercati e offrire una boccata di ossigeno alle altre nazioni: il Portogallo, però, rischia di non beneficiare nemmeno di questo placebo».
Per Felipe Garcia, economista alla Informacao de Mercados Financieros Consultants di Oporto, «il Portogallo sarà il prossimo paese a chiedere aiuto. Non so se entro quest’anno o all’inizio del prossimo ma ormai è inevitabile. Abbiamo superato il limite sostenibile in termine di pagamento dei tassi d’interesse sul debito». E poi? «Se il Portogallo dovrà forzatamente accedere al piano di aiuto, immediatamente l’attenzione si sposterà sulla Spagna e non so cosa potrà fare il governo», ha dichiarato a Bloomberg Edro Schwartz, economista all’Università San Pablo di Madrid, secondo cui, inoltre, «la principale causa del contagio sta nella proposta tedesca di includere i default gestiti nel futuro meccanismo permanente di risoluzione delle crisi. Finché resterà opacità sull’argomento, speculazione e contagio restano rischi molto reali e seri. A mio avviso il salvataggio irlandese deve costringere i politici europei a preparare un piano dettagliato al riguardo, altrimenti i mercati reagiranno di conseguenza».
P.S. Le Borse, a volte, dicono più dei politici. Ieri tutte le piazze europee hanno chiuso in calo e Wall Street ha aperto in flessione le contrattazioni su tutti i listini: il placebo del salvataggio irlandese è durato solo poche ore, chi scommette ormai sa che il contagio portoghese è alle porte. E si regola di conseguenza.