Dopo il martedì nero, le principali borse europee ieri hanno chiuso in rialzo, mentre Piazza Affari ha terminato la seduta praticamente invariata. L’Irlanda, dopo aver subito il downgrade del rating da AA- ad A da parte di S&P, ha annunciato una manovra quadriennale di tagli e aumento delle imposte sui consumi da 15 miliardi di euro e ha fatto sapere di avere risorse nelle casse sufficienti sino alla metà del 2011. Ma, come ci spiega in questa intervista Mario Deaglio, Docente di Economia internazionale all’Università di Torino, i pericoli per l’euro non sono ancora finiti. Anche se – avverte l’economista – una dissoluzione definitiva dell’unione monetaria resta un’ipotesi remota.



Professore, perché l’altro giorno c’è stata fibrillazione sui mercati, nonostante il piano di salvataggio dell’Irlanda sia stato già messo a punto?

Ciò che non tranquillizza i mercati è il pericolo che gli irlandesi non accettino il piano di salvataggio. Se si andasse presto a elezioni e l’opposizione andasse al governo cambiando totalmente linea, magari minacciando di non pagare il proprio debito (del resto questa è la forza del debitore), si creerebbe una situazione fortemente destabilizzante. Vediamo quindi che anche un paese piccolo come l’Irlanda può mandare a gambe all’aria il sistema. In particolare perché ha un debito pubblico ufficiale nell’ordine dei 50 miliardi di euro, ma su questo sono stati costruiti altri titoli per un totale stimato di 400 miliardi. Titoli che hanno un potere inquinante e destabilizzante fortissimo.



Perché?

Perché sono presenti nei bilanci di molte banche, in particolare inglesi e tedesche, come ha evidenziato il Financial Times. Il problema, oltre che prettamente finanziario, diventa anche sociale. La gente, non solo in Irlanda, comincia a chiedersi perché deve fare sacrifici per dare soldi alle banche. Dublino dovrebbe poi sistemare la sua economia (e quindi chiedere sforzi ai suoi cittadini) in soli quattro anni, perché il sistema monetario internazionale non accetterebbe nelle sue logiche un debito a lungo termine di quel genere.

Sono giustificati gli allarmi sulla tenuta dell’euro e sul rischio di una sua dissoluzione che rimbalzano in questi giorni?



Dobbiamo partire da una considerazione giuridica: l’unione monetaria è irrevocabile. Se poi dovesse cadere l’euro, come in un gioco del domino ne risentirebbe pesantemente tutta l’economia mondiale, perché, per esempio, le banche americane hanno moltissime attività in euro. Torneremmo a un’economia con forti restrizioni ai movimenti dei capitali: ciascun paese o gruppo di paesi avrebbe la sua moneta, terrebbe delle riserve, cercherebbe di tenere un cambio fisso, perché non potrebbe permettersi un cambio flessibile. Se invece si stipulasse un nuovo Trattato che consentisse l’uscita di un paese, credo che arriveremmo ad avere un “euro 2”, perché penso che nessuno voglia un ritorno alle barriere commerciali e valutarie, quindi ci sarebbe un euro con qualche paese in meno e a egemonia tedesca.

 

Paolo Savona, in un’intervista sulle nostre pagine, ha ribadito che per l’Italia sarebbe meglio essere fuori dall’euro. Cosa ne pensa?

 

Sono di un’idea esattamente contraria, è una cosa che non possiamo permetterci. Un attimo dopo la creazione di una nuova lira, questa si indebolirebbe sul mercato. Negli anni ’80 e ’90, ogni mese si aspettava con trepidazione il dato sulla bilancia commerciale, perché se questa era negativa la lira si indeboliva e noi dovevamo restringere l’attività economica, dato che non avevamo, tanto per intenderci, i soldi per pagare l’estero. In questi anni siamo vissuti pagando l’estero con l’euro: abbiamo tranquillamente addossato parte dei nostri problemi sui nostri partner, in particolare i tedeschi, che hanno una splendida bilancia dei pagamenti e hanno garantito per noi. Non avere nessuno che lo fa più vorrebbe dire avere una moneta debole, che fa aumentare il costo dei beni più importanti e crea inflazione. Cosa che cancellerebbe in breve tempo (all’epoca della lira bastavano sei mesi) i vantaggi che potremmo avere sulle esportazioni. Non credo quindi che sarebbe un buon affare.

 

Non converrebbe nemmeno, come ha scritto Pelanda sempre su queste pagine, una dissoluzione dell’euro?

 

Penso, come ho detto prima, che se questo euro cede, ne verrà fatto un altro più ristretto e più forte. Se noi non ci saremo dentro ne avremo solo svantaggi. Infatti, una volta venuta meno l’Ue per come la conosciamo ora, credo che salterebbe il mercato comune e verrebbero messi dei dazi doganali che non lascerebbero spazio alle nostre esportazioni. Ritengo che non avremmo nessuna convenienza in tutto questo.

 

Per risolvere la situazione servirebbe più Unione politica?

 

Un’Unione politica più forte sarebbe la vera soluzione, o parte della soluzione, che adesso ci manca, anche perché i cittadini europei non la vogliono. Penso che inevitabilmente il mondo andrà verso quella che nei miei libri ho definito “globalizzazione a isole”, cioè singoli stati o piccoli gruppi di stati che comunicano tra loro attraverso canali meno liberi degli attuali. Sta già succedendo. Dopo la questione greca e irlandese, le banche fanno molta più attenzione a quali titoli esteri comprano e prediligono maggiormente il debito pubblico del proprio paese. Assistiamo a una riduzione dell’integrazione finanziaria nel mondo.

 

Se l’Europa si sta muovendo in un’apparente linea di rigore delle finanze dei singoli Stati, gli Usa hanno messo in campo una politica di stimolo: il “quantitative easing”. Quale “ricetta” le sembra stia funzionando meglio?

La verità è che non lo sappiamo. Quella americana è senz’altro più azzardata, soprattutto perché se riuscirà a rimettere in moto l’economia lo farà in un orizzonte temporale breve. La svalutazione del dollaro può essere accettata fino a un certo punto dagli altri paesi. Senza dimenticare il rischio che tutti questi soldi in circolazione creino inflazione. Se gli americani insistono in politiche di questo genere vedranno una serie di rifiuti da parte delle altre nazioni.

 

Potrebbe approfittarne la Cina?

 

La Cina sta facendo una grandiosa politica di acquisto di materie prime in tutto il mondo e in Africa e in America Latina ha già rubato la scena agli Usa. Non escluderei nemmeno che a un certo punto a salvare l’Irlanda o uno degli altri paesi europei in difficoltà non intervenissero proprio i cinesi. Potrebbero mettere un piede nell’euro favorendone un’evoluzione di lungo termine come nuovo anti-dollaro. Uno degli scenari possibili è che l’euro diventi una moneta di riserva per un’area del mondo.

 

In che modo?

 

Oltre a quanto detto sulla Cina, tutti pensano che i russi possano arrivare ad accettare l’euro per il pagamento del petrolio e del gas. Questo di fatto farebbe scomparire il dollaro dal nostro tratto di mondo. Il continente euro-asiatico potrebbe arrivare a negoziare solo in euro, o nel nuovo euro fatto solo di paesi interessati a conservarne il valore con una politica interna adeguata.

 

Anche in questo caso all’Italia converrebbe essere dentro l’euro?

 

Esserne fuori vorrebbe dire non essere più tra i primi paesi del mondo, accettare un futuro di forti incertezze e un ritorno all’inflazione degli anni ’70-80. Il debito pubblico, per carità, sarebbe maggiormente sotto controllo, perché lo Stato restituirebbe denaro svalutato e incasserebbe le imposte con l’inflazione dentro. Ma una politica di questo tipo, a lungo andare, logora un’economia e noi eravamo già sufficientemente logorati quando è arrivato l’euro.

 

(Lorenzo Torrisi)

Leggi anche

SPY FINANZA/ Il "gioco di specchi" che spiega il crollo delle borseSPY FINANZA/ Irlanda, la grande balla sulla fine della crisiSPY FINANZA/ L’Irlanda "mette in guardia" l'Italia