Il mese scorso, il quotidiano Financial Times ha pubblicato un interessante articolo con i risultati di un’indagine sul consenso al settore dell’energia. La rilevazione, che è stata svolta da un leader assoluto delle indagini quale è Harris Interactive, ha preso in considerazione gli Stati Uniti e i cinque maggiori stati europei, Italia compresa. Vale pertanto la pena di esprimere qualche considerazione sulle principali conclusioni.



Larga parte dell’opinione pubblica si è dimostrata largamente favorevole all’installazione di impianti eolici, alle coltivazioni per i biocarburanti e al fatto che gli Stati incentivino finanziariamente gli investimenti della green economy. In parallelo, di contro, cresce significativamente la preoccupazione per l’incremento dei prezzi dell’energia causata anche dal ricorso alle costose fonti rinnovabili.



Altro dato reso noto riguarda il settore nucleare: negli Usa l’opinione pubblica è divisa in due (metà favorevoli, metà contrari); la popolazione tedesca conferma di essere assolutamente sfavorevole (oltre il 75% si è pronunciato negativamente sulla realizzazione di nuovi impianti); i risultati dell’Italia parlano di un 60% della popolazione contraria alla realizzazione di impianti nucleari nel nostro paese. In compenso, gli italiani (il 77%) si dicono disponibili ad accettare aumenti in bolletta per i costi legati alle rinnovabili e all’abbattimento delle emissioni della CO2 da cui siamo condizionati per il raggiungimento degli obiettivi del famoso trattato di Kyoto.



Due considerazioni a caldo. La prima riguarda il significativo regresso della disponibilità pubblica in favore del nucleare: due anni fa, quando in Italia si riprese a parlarne, le persone a favore erano più del 55%, ora sembrano scese (secondo Harris) al 40%. La seconda annotazione è la sorprendente conclusione che i nostri concittadini sono disposti ad accettare aumenti anche superiori al 30% pur di avere energia “pulita” (in altri paesi le percentuali sono molto inferiori). Come sempre, i dati che emergono da queste rilevazioni andrebbero ulteriormente approfonditi, però qualche riflessione la classe politica italiana che si occupa di economia dell’energia dovrebbe trattenerla.

Perdere oltre 15 punti di consenso in meno di due anni sull’ipotesi di realizzare centrali nucleari non è un bel segnale. In sei mesi, da quando Claudio Scajola ha lasciato la poltrona di ministro, il ruolo delle Istituzioni preposte e l’appoggio politico su questa materia è venuto a mancare. Spiace, ma non basta, qualche annuncio di Tremonti agli industriali (vedi il raduno di Cernobbio) e qualche timida pubblicità dell’Enel. Non basta neppure costituire il “Forum della sicurezza nucleare” o pubblicare una pagina sul Sole 24 Ore relativamente alla grande opportunità occupazionale e imprenditoriale per l’industria e l’ingegneria nazionale. Non sono sufficienti gli accordi internazionali firmati da Berlusconi con i russi o quelli operativi con gli Istituti di ricerca francesi.

 

Abbiamo a disposizione una tecnologia nucleare sicura e competitiva; la produzione di elettricità da fonte atomica è assolutamente priva di emissioni di CO2 o altri inquinanti. Questa scelta però impone un quadro di regole stabili, un sistema di controllo robusto, una capacità industriale e finanziaria di grandi dimensioni economiche. L’Italia, che ormai da troppi anni paga una salatissima bolletta elettrica, deve decidere oggi: per ridurre la propria dipendenza dai pochi gasdotti internazionali e per disporre di un parco di generazione di elettricità che tra vent’anni si renderà obsoleto.

 

E la fonte nucleare, nel mix produttivo, non può mancare. Le fonti rinnovabili, che funzionano 1.500 ore all’anno e che generano elettricità che costa quattro volte di più di quella prodotta con il gas, non stanno in piedi da sole: hanno bisogno di una fonte che produca energia di base, per almeno 7.000 ore annue a costi decisamente più contenuti, senza ulteriori emissioni. La prospettiva in cui ci si deve incamminare è un sistema misto tra le fonti rinnovabili (idroelettrico, eolico, fotovoltaico, biomasse) e quella nucleare.

 

Tutto ciò ha bisogno da parte del Governo e del Parlamento di iniziative concrete e sistematiche e di una comunicazione credibile e seria. Abbiamo perso un anno per costituire l’Agenzia per la Sicurezza Nucleare e siamo ancora in attesa. Ma bene in questo senso l’annuncio della disponibilità dell’oncologo Umberto Veronesi ad assumerne la Presidenza, poiché si tratta di una soluzione bipartisan e di un interlocutore noto al largo pubblico.

 

Non si perda perciò ulteriore tempo a redigere i decreti attuativi (sono una trentina!) necessari per il quadro regolamentativi previsti dalla Legge Quadro di rilancio del nucleare. C’è un’ulteriore annotazione: il Governo deve necessariamente avviare un dialogo con le Regioni in maniera responsabile, ascoltando il loro parere e avviando un dialogo costruttivo con il territorio.

C’è infine un altro aspetto da non trascurare. Poiché il tema dell’energia ha ormai confini continentali, l’Italia riprenda a svolgere anche un ruolo in Europa: purtroppo l’attuale Commissario per l’Energia Oettinger appare preda dei potenti Verdi della sua Germania ed evita di prendere un minimo di posizione. Noi non abbiamo impianti a carbone e nucleari come la Germania, quindi non possiamo prenderci il lusso di posizioni esclusivamente tattiche e ideologiche.

 

In fondo le centrali elettriche non sono il nemico peggiore. Una recente “Snapshot” pubblicata da Usa Today ha infatti indicato quali sono i progetti più impopolari per infrastrutture nelle vicinanze degli abitati: si tratta delle discariche che sono le meno gradite insieme ai casinò (oltre 75% di contrari). Seguono i grandi magazzini di Wall Mart e gli outlet (poco graditi dal 60%), mentre gli impianti di produzione elettrica si attestano come gradimento attorno al 50%.

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