Una cosa è certa: nonostante l’ok al piano di salvataggio irlandese, quanto sta accadendo sul mercato obbligazionario sovrano dei paesi periferici dell’Ue sta arrivando al punto di rottura, un qualcosa che potrebbe replicare l’effetto fuori controllo del combinato Lehman-AIG-Fannie-Freddie del 2008. Non a caso per il professor Willem Buiter, capo economista a Citigroup, «il Portogallo avrà bisogno di essere salvato entro la fine di quest’anno e la Spagna lo seguirà molto presto».



Klaus Baader di Societe Generale ha pubblicato ieri un report intitolato “Eurozone sovereign debt crisis: next stop Spain” dal quale si evince che il fondo di salvataggio Ue dovrà rifinanziarsi per comprare preventivamente bond spagnoli. Bella idea, peccato che la Corte costituzionale tedesca potrebbe aver da ridire anche su questo, oltre che sul salvataggio greco. Anche Thomas Mayer di Deutsche Bank parla chiaramente della necessità a breve della Spagna di un credito flessibile da parte del Fmi. Attualmente i mercati prezzano al 23% la possibilità di default spagnolo, contro il 34% del Portogallo e il 39% dell’Irlanda: se però salvataggio sarà, il sistema di facility europeo perderà tutto il potenziale finanziario e politico.



Sempre per Willem Buiter, «il fondo europeo è piccolo, troppo piccolo. Non a caso circolano già voci di un possibile raddoppio dei fondi, anche se per ora Berlino nega». Parliamoci chiaro, il destino dell’Ue e dell’euro è nelle mani della Spagna. E nonostante José Luis Zapatero continui a ripetere che «chi sta shortando la Spagna sta compiendo un grande errore», Keynes diceva che accusare la speculazione per le crisi economiche è come incolpare il diavolo per le morie delle mandrie.

Forse Zapatero non ha letto il devastante Articolo IV del report del Fmi sul suo paese. Stando a quelle pagine, infatti, il governo necessita di finanziamenti lordi per 226 miliardi di euro il prossimo anno, qualcosa come il 21% del Pil: «Le necessità di finanziamento spagnolo sono enormi e recuperare la fiducia dei mercati sarà critico. La Spagna ha esaurito il suo spazio fiscale, servirebbero obiettivi più credibili». Madrid deve attrarre 226 miliardi di euro da risparmiatori spagnoli, fondi pensioni tedeschi, banche francesi, assicurazioni giapponesi e Banca centrale cinese per poter continuare la sua politica di deficit all’8% sul Pil nel 2011: pensate che i soggetti prima elencati avranno voglia di acquistare obbligazioni sapendo che se la Spagna dovrà essere salvata subiranno haircuts dei rendimenti?



«L’economia spagnola è pesantemente indebitata e ha una delle posizioni peggiori tra le economie avanzate a livello di investimenti internazionali», prosegue il Fmi: oltretutto, le banca spagnole devono dar vita a un roll over da 220 miliardi tra il 2011 e il 2012, stando ai calcoli della Banca Civica: «Siamo nell’anticamera di una nuova crisi di liquidità. Stiamo vivendo un pre-collasso finanziario», dichiara il capo dell’istituto, Enrique Goni. E il fatto che la Bce stia drenando liquidità attraverso una stretta di politica monetaria non aiuterà, visto che la massa monetaria M3 sta già contraendosi di mese in mese, così come il credito privato.

Incompetenza o una scelta ben precisa per il bene di Berlino? Un bel quadro ma non basta. Mentre infatti l’Europa continentale affronta la crisi dei debiti sovrani, a Est si pongono le basi per un default a catena il cui combinato potrebbe rivelarsi devastante. Epicentro è l’Ungheria di Vicktor Orban e del suo governo nazionalista, il quale dopo aver chiuso la porta in faccia ai miliardi del Fmi in nome della sovranità nazionale, ora sta seguendo la ricetta argentina per cercare di finanziare le esangui casse del paese più indebitato dell’area. E di tre giorni fa, infatti, l’ultimatum del ministro dell’Economia, Gyorgy Matolcsy, a circa 3 milioni di lavoratori del paese: riportate i soldi spostati nei fondi pensioni privati complementari sotto controllo dello Stato o perderete il 70% della vostra pensione statale.

 

Si parla di qualcosa come 3 trilioni di fiorini (circa 15 miliardi di dollari) che nelle intenzioni del governo, una volta rientrati, serviranno a ridurre il deficit di budget e il debito pubblico. «Questa è una nazionalizzazione bella e buona dei fondi pensione privati, è uno scenario da incubo», ammette David Nemeth, economista di ING Group a Budapest. Esattamente come l’Argentina, che nel 2001 confiscò 3,2 miliardi di dollari di fondi pensione in cambio di Treasury Bill, Budapest cerca disperatamente di rimpinguare le esangui casse, visto che quattro giorni fa un’asta di bond decennali non è riuscita a collocare tutto l’ammontare (10 miliardi di fiorini di controvalore meno del previsto) a fronte della debolezza del fiorino, dello spread contro il bund al 7,81% e di rendimenti al 6,05%, ben più alti di giugno quando il paese stava per annunciare il default.

 

E siccome l’esodo dai fondi pensione privati porterà a un calo della domanda per il debito locale, i rendimenti dei bond sono destinati a salire ancora. E di molto. In realtà la mossa di Orban e soci non è nient’altro che una partita di giro per riuscire a continuare a pagare le pensioni correnti, evitando rivolte e guai politici: lo stesso Matolcsy ha ammesso che «c’è un enorme buco nel sistema pensionistico statale, spendiamo 900 miliardi di fiorini più di quanto introitiamo attraverso i contributi. Ormai è insostenibile». Di fatto, l’asset di fondi privati verrà spostato sotto tutela statale manu militari il prossimo 31 gennaio ma, bontà sua, il governo concederà la possibilità di scegliere: chi resterà con i privati, vedrà la pensione statale tagliata del 70%.

 

Ma l’Ungheria non è l’unico paese dell’area a compiere manovre simili, ancorché la sua scelta sia la più drastica e ricattatoria: la Lituania ha cominciano a ridurre le contribuzioni ai fondi privati lo scorso anno e l’Estonia congelerà i fondi pensione entro la fine di quest’anno. In Bulgaria, poi, i fondi pensione privati metteranno il 20% dei loro assets sotto controllo statale per coprire la spesa previdenziale fino al 2014 e controllare il deficit. La scelta ungherese, d’altronde, ha già spaventato i mercati, ottenendo come risultato l’indebolimento del fiorino contro l’euro del 2,1%.

 

«Se l’economia resta debole, i vantaggi di questa mossa saranno illusori, mentre i rischi a lungo termine sono altissimi e la possibilità di downgrade del rating in forte aumento», dichiara Michal Dybula, economista alla Bnp Paribas di Varsavia. Ma peggio ancora, «questa decisione spaventerà gli investitori e potrebbe portare con sé una fuga dalla nazione degli investimenti esteri», almeno stando alla nota dell’unità ungherese della Pioneer Global Asset Management. Inoltre, questi extra fondi garantiranno sì al governo di andare in surplus di budget l’anno prossimo e di far scendere i rendimenti obbligazionari, ma contestualmente mineranno alla base la capacità di risparmio dei cittadini. Inoltre, per banche locali, come la consociata della tedesca Allianz, e assicurazioni, come l’austriaca Erster Group Bank e altre, ci vorranno almeno tre anni per recuperare gli assets perduti grazie alla decisione del governo: e far traballare le banche non è una buona idea in questo periodo.

Tanto più che per gli analisti di Citigroup, se dovesse esserci un peggioramento della situazione Budapest potrebbe aver difficoltà ulteriori a reperire fondi nel 2011, anno i cui andranno in scadenza enormi quantità di obbligazioni sia pubbliche che bancarie in Europa: e l’Ungheria deve rimborsare 11 miliardi di dollari. Ma il problema più grave è quello della bolla immobiliare che sta per esplodere in tutta la sua virulenza a causa dei tassi di cambio.

 

La grandissima parte dei mutui stipulati in Ungheria, infatti, sono denominati in franchi svizzeri e i costi mensili per tantissimi proprietari di casa sono raddoppiati da quando il fiorino ungherese è crollato di oltre il 40% contro la valuta elvetica dal 2008 in poi. Il totale del valore di questi mutui era di 2,2 trilioni di fiorini (10,2 miliardi di dollari) a maggio scorso dai 133,8 miliardi di fiorini dell’inizio del 2005, questo stando a dati ufficiali della Banca centrale di Budapest. Per alcune banche locali come OTP Bank Nyrt, Erste Group Bank AG e Foldhitel es Jelzalogbank Nyrt, i cosiddetti “non-performing loans”, ovvero i prestiti che non andranno a buon fine, potrebbero salire al 10% del totale di quelli erogati entro la fine dell’anno. In tutto il paese ci sono 5,4 trilioni di fiorini denominati in moneta straniera, l’equivalente di due terzi del credito personale e l’82% di quella cifra è denominata in franchi svizzeri: la bolla sta per esplodere.

 

Il governo per ora ha dato vita a una moratoria sulle ripossessione di immobili e sui pignoramenti fino al 15 aprile 2011 e il consiglio dei ministri sta studiando l’ipotesi di una facility per la gestione del patrimonio immobiliare che farebbe fronte ai bad loans e convertirebbe i debitori in affittuari con il governo come “padrone di casa”: con quali soldi occorrerebbe chiederlo al bravo Orban, visto che sta requisendo i fondi pensioni privati per pagare quelle statali. Una simile politica di statalismo totale, inoltre, potrebbe portare la gente a pensare di non dover più ripagare i debiti visto che il governo sta preparando la propria azione di copertura: a quel punto lo stato di salute delle banche, già poco sano e ora ulteriormente minato dalle tasse spropositate del governo e dagli assets nazionalizzati, rischia di subire un colpo mortale.

 

Insomma, una bomba ad orologeria che potrebbe destabilizzare i paesi vicini – Bulgaria, Estonia, Lituania – e portare nuove, letali perdite per le banche europee pesantemente esposte a Est. Già, le banche. E pensare che l’ungherese OTP ha passato gli stress tests europei con il secondo miglior risultato dopo la spagnola Banca March, pur avendo già ristrutturato prestiti per 110 miliardi di fiorini a 41mila clienti…