Mentre in Italia si apre di fatto una crisi al buio che ha già fatto schizzare in un solo giorno i cds sulla protezione del debito di 8 punti base a quota 199,3, per l’Irlanda comincia la settimana della verità. Ieri, infatti, è giunto a Dublino il Commissario europeo per gli affari economici e monetari, Olli Rehn, per una visita di due giorni durante la quale sarà chiamato a valutare il piano di tagli della spesa e aumento delle tasse da 6 miliardi di euro per il 2011.
Nonostante l’Irlanda abbia in cassa i soldi necessari per evitare una richiesta a breve di intervento da parte dell’Ue e scongiurare il default, apparirebbe quantomeno irresponsabile gettarsi in un’operazione autocratica con il forte rischio di dover toccare i fondi pensione e finire senza un euro al massimo il prossimo maggio.
Il cds sul debito sovrano irlandese ha toccato la quota record assoluta di 599 (dopo aver sfondato per la prima volta il suo record assoluto il 5 novembre a quota 587), ovvia reazione del mercato agli sforzi del governo di convincere gli investitori che Dublino non sarà la prossima Atene: «Siamo alla vigilia di uno sciopero dei compratori di bonds: per evitarlo bisogna che qualcosa che cambi la dinamica accada nelle prossime due settimane», è il giudizio di Jens Peter Soerensen, capo analista della Danske Bank di Copenhagen, primario collocatore di bonds irlandesi in Europa.
Con un deficit al 32% del Pil c’è poco da scherzare o prendere tempo, anche perché già una volta Brian Lenihan, il ministro delle Finanze, è stato smentito da economisti come Morgan Kelly, detto “Doctor Doom”, il quale denunciò che il costo per il salvataggio delle banche non sarebbe stato di 50 miliardi di euro come dichiarato dal governo, ma di almeno 70. E così è stato. «A cosa serve mettere mano alla gestione della spesa, quando l’iceberg delle perdite bancarie è pronto a farci annegare tutti?», ha scritto ieri Kelly sull’Irish Times, giudizio che trova abbastanza d’accordo anche Scott MacDonald, capo per le ricerche economiche e sul credito della Alladin Capital Management LLc di Stamford in Connecticut: «L’orologio irlandese sta ticchettando tra la politica e il budget, con gli investitori seduti sul sedile posteriore e intenti a contemplare con attenzione quanto sta per accadere. Il budget è la chiave per ritrovare fiducia».
Come già annunciato qualche giorno fa, la data chiave potrebbe essere il 7 dicembre, giorno in cui il governo presenterà il piano di tagli al Parlamento: il Fine Gael, principale partito di opposizione, ha già detto con non voterà il budget e con una maggioranza di tre seggi e un turno suppletivo previsto per il 25 novembre, l’esecutivo appare davvero a forte rischio di tenuta. Ecco dunque riemergere il vecchio fantasma del nazionalismo celtico, con Timmy Dooley, avvocato e consigliere di Brian Lenihan, pronto a denunciare il fatto che «il budget rimane l’ultima speranza per mantenere la nostra sovranità nazionale ed evitare che influenze esterne guidino il nostro futuro salendo a bordo».
Prima di giungere a Dublino, Olli Rehn ha preliminarmente approvato il piano irlandese di tagli, aggiungendo che «scelte politiche difficile ma necessarie devono ancora essere fatte riguardo le misure e gli strumenti necessari per giungere all’obiettivo prefissato», ovvero tagliare il deficit sotto il 3% entro il 2014: se Lenihan ce la farà senza scatenare una guerra civile il Nobel per l’economia è prenotato.
Per ora gli tocca tenere a bada gli investitori, i quali continuano a richiedere extra-rendimenti per detenere il debito nazionale e lo spread rispetto al Bund è più che duplicato negli ultimi tre mesi: ieri mattina alle 9, ora di Londra, lo spread tra bond irlandese e bund aveva toccato i 528 punti base, stando a Bloomberg. Inoltre, a spaventare Dublino – e con essa tutti i cosidetti periferici – ci pensa ancora la Grecia, tecnicamente salva per evitare il default di banche tedesche e francesi, ma alle prese con spread sempre maggiori nonostante la tenuta del Pasok alle elezioni amministrative dello scorso weekend, una sorta di referendum sulle misure di austerità imposte dal governo.
Il 5 novembre lo spread sul bund ha sfondato quota 900 punti base per la prima volta da metà settembre, mentre ieri, nonostante la vittoria elettorale, era a 880 punti base, su di 189 punti base dal 25 ottobre. Inoltre, come già scritto la scorsa settimana, Dublino deve anche fare i conti con la decisione tedesca di imporre ai detentori di bond parte del peso dei futuri salvataggi attraverso haircut dei rendimenti, scelta che Brian Lenihan il 3 novembre ha definito «non di aiuto, visto che manda il chiaro segnale ai mercati che l’Europa è sul punto di ristrutturare il debito di altre nazioni».
Non sarà di aiuto, chiaro, ma è la realtà: per Erik Nielsen, capo economista per l’Europa di Goldman Sachs, «l’Irlanda dovrà ricorrere all’aiuto dello European Stability Fund e del Fmi già all’inizio del 2011. E questa certezza sta cominciando a scatenare uno tsunami di nuove preoccupazioni sul mercato. C’è una considerevole possibilità che quelle istituzioni di salvataggio saranno coinvolte in un piano di finanziamento per Irlanda e Portogallo all’inizio del prossimo anno, questione di pochi mesi» (giusto per la cronaca, ieri il cds del Portogallo ha raggiunto quota 466, quello della Grecia 864 e quello della Spagna 265,2).
Una cosa va chiarita, per amore di verità: la danza degli spread, come quelle dei cds, può essere innescata anche da fattori emotivi, speculativi e tecnici. In particolare lo spread tra bund e obbligazioni irlandesi e di altri paesi ad alto indebitamento potrebbe parzialmente essere il riflesso del bassissimo numero di bond trattati in questi giorni. Volumi di scambi ridotti, infatti, significa che ogni volta che un singolo investitore decide di vendere bond irlandesi o greci crea un cosiddetto “market-moving event” e causa un crollo del prezzo e un picco del rendimento richiesto.
Altresì, però, sarebbe irresponsabile negare che la situazione strutturale del deficit irlandese sia fuori controllo, soprattutto visto l’obbligo di rientro del deficit sotto al 3% del Pil entro il 2014 imposto dall’Ue, limite che vede anche Francia e Gran Bretagna – protagonista di una finanziaria di tagli senza precedenti – costrette a nuove manovre per centrare l’obiettivo. Per ricevere il via libera di Bruxelles, Dublino necessita da qui a tre anni di altri risparmi per 15 miliardi, portando la somma totale combinata di aumento delle tasse e tagli della spesa a circa il 30% del totale dell’output economico del paese. Auguri!
In un report della scorsa settimana, il Fondo Monetario Internazionale sottolineava la necessità di dare risposte all’aumento delle ratio sul debito nelle nazioni avanzate: nemmeno a dirlo, la ratio leader è quella irlandese, raddoppiata dall’inizio della crisi e ormai quasi a quota 100% del Pil. Per il Fmi, il rischio connaturato è quello della velocità della perdita di fiducia dei mercati, visto che solo un anno fa il tasso di interesse sullo spread tra bon greco e bund era all’1% e ora è pari a nove volte, con le obbligazioni greche all’11,3% e i bund al 2,5%.
Il super-euro, sempre sugli scudi, è avvisato. E anche i detentori di obbligazioni, visto che per Aaron Smith, managing director del Superfund Financial, «nonostante il piano di QE2 della Fed, gli investitori dovrebbero stare ben lontani dal debito governativo Usa visto che si sta sviluppando un’enorme bolla sul mercato obbligazionario. Gli investitori retail stanno comprando bond come se fossero azioni tecnologiche nel 1999, così facendo le perdite sono garantite. La miglior difesa, a mio avviso, è l’attacco e cioè non comprare obbligazioni, siano a due o a dieci anni».
Questa settimana rischia davvero di essere fondamentale. Non solo per gli irlandesi però, visto che avanti politicamente di questo passo l’Italia avrà non pochi problemi a piazzare sul mercato il proprio debito nelle prossime aste: cds e spread contano più di mille giochi del cerino, attenzione a non scottarsi le dita con il mercato. Il resto sono soltanto chiacchiere. Irresponsabili.