La scorsa settimana, la Ue, dominata dall’influenza tedesca, ha respinto la proposta italiana di europeizzazione parziale dei debiti pubblici per rafforzarne la credibilità grazie a una garanzia solidale di tutto l’eurosistema. Utile, soprattutto, a ridurre i costi di rifinanziamento dei debiti stessi, insostenibili per i Paesi industrialmente deboli e con deficit elevati come Grecia, Portogallo e Spagna oppure industrialmente forti, ma con debito storico enorme come l’Italia. Ciò significa, per noi, che il problema del debito italiano non potrà avere soluzioni europee, ma solo nazionali.



L’Italia dovrà aumentare la propria credibilità sovrana di fronte al mercato. Ciò implica tagli alla spesa pubblica e allo stesso tempo detassazioni per stimolare una maggiore crescita del Pil per dimostrare che il gettito annuo sarà sufficiente a ripagare il debito. Come? Regno Unito e Germania hanno messo in priorità il rigore. Il primo ha tagliato, qualche settimana fa, di quasi 100 miliardi equivalenti la spesa pubblica per contenere l’indebitamento. La seconda, già dal 2009, ha messo in Costituzione il divieto di fare deficit annuo, dal 2016 a livello federale e dal 2020 per gli enti locali.



Se applicassimo in Italia misure e tempi simili, dovremmo tagliare 45 miliardi di spesa pubblica strutturale – cioè il 3% del Pil – dal 2013 al 2016 in poi, e altri 30, a occhio, nel periodo 2011-12. Ma dovremmo anche detassare per essere credibili nel rilancio della crescita. Gli inglesi la ottengono via rigore che rafforza la piazza finanziaria di Londra e la sterlina. I tedeschi la fanno via export sostenuto da contratti geopolitici. L’Italia, per incrementare il Pil, deve aumentare i consumi interni togliendo tasse. Quanto? Di almeno 40 miliardi che equivalgono, scontando l’effetto crescita, a circa 25 miliardi di taglio strutturale nella spesa.



In tutto 100 miliardi di tagli nel periodo 2011-16. Ciò porterebbe a una deflazione troppo violenta dell’economia italiana (con rischio di “stagflazione” per l’aumento dell’inflazione energetica importata) e a rivolte nelle strade in quanto per risparmiare una tale cifra non basterebbe limare gli sprechi, ma bisognerebbe ridurre le garanzie dello Stato sociale. In sintesi, o l’Italia esce dall’euro, consolidando il proprio debito in una nuova moneta svalutata o dichiarandone l’insolvenza parziale, oppure deve cambiare il modello di Stato sociale con rischio elevato di conflitto interno.

La terza opzione di alzare le tasse comprometterebbe fatalmente la crescita, quindi il gettito: il rigore senza crescita annulla gli effetti del primo. Altre opzioni? Tremonti, comprensibilmente, insisterà per ottenere garanzie europee che attutiscano l’intensità del rigore in Italia. Forse otterrà qualcosa, ma probabilmente poco visto il clima di ri-nazionalizzazione e germanizzazione della Ue.

 

Resta l’opzione di abbattere del 10% (180 miliardi) il volume assoluto del debito sia vendendo patrimonio pubblico (circa 80 miliardi sono alienabili a breve), sia attraverso una tassa una tantum. Il risparmio annuo sulla spesa per interessi (ora sui 70 miliardi) sarebbe di circa 8 miliardi. Il mercato, impressionato in positivo da una nazione capace di una tale operazione, chiederebbe un minor premio di rischio per il rifinanziamento del debito e ciò farebbe risparmiare, probabilmente, altri 4 miliardi annui.

 

Pago 180 in un colpo, guadagno 12 per ogni anno, rafforzo la credibilità nazionale e compro tempo per evitare tagli insostenibili. Suggerisco al governo di predisporre questa “soluzione nazionale” che anche aumenterebbe la nostra influenza nell’Ue.

 

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