È ufficiale: economia e finanzia non festeggiano il Natale. A ridosso delle festività, infatti, sono arrivate una messe di notizie tutt’altro che rassicuranti che, a mio modo di vedere, accelerano la crisi già in atto a livello globale, con riflessi immediati sull’Europa: l’indice del cds che misura il rischio di default del debito dell’eurozona, infatti, è schizzato come un tappo di champagne.



Evviva! D’altronde, con Fitch che in un solo giorno ha operato il downgrade di Portogallo e Ungheria, quest’ultima oggi a mezzo notch dal livello di “spazzatura” rispetto al debito sovrano, e rivisto in negativo gli outlook di cinque banche greche, cosa pensavate che dovesse succedere? Inoltre, la notizia che Atene non solo estenderà manu militari le maturazioni delle sue obbligazioni al 2013 e opererà tagli dei rendimenti ma addirittura ristrutturerà il proprio debito con il beneplacito (offerto segretamente) dell’Ue e della Commissione europea, rappresenta un invito a nozze per le società di rating.



Detto fatto, l’indice Markit iTraxx SovX Western Europe che misura il rischio di default sul debito sovrano è salito a 208 punti base intra-day: il timore, ormai realtà, è che la Grecia diventi il primo Stato in Europa a ristrutturare il proprio debito sovrano dalla Seconda Guerra Mondiale, rompendo di fatto un tabù e innescando pesanti rischi di altri default nell’Europa del Sud e in Irlanda.

«Quanto sta accadendo potrebbe davvero spaventare i mercati: se è vero (che la Grecia ristrutturerà il debito, ndr), questo cambia interamente le politiche in atto nella crisi del debito dell’eurozona», ha dichiarato Elizabeth Afseth, esperta obbligazionaria alla Evolution Securities. Ma anche altre voci preoccupate hanno voluto condividere i loro dubbi riguardo le ricette messe in campo dai governi, ad esempio quella di David Einhorn, co-fondatore del fondo Greenlight Capital, quello che ha smascherato e contribuito a far crollare Lehman Brothers, secondo cui «la crisi che richiede tassi d’interessi a zero è finita, quindi il fatto che non li si alzi fa aumentare i rischi che il governo presti eccessivamente e cada in una trappola del debito». Come dire, il quantitative easing 2 della Fed è una scorciatoia verso il disastro. Il rischio, per Einhorn, «è trovarsi a dover affrontare un’altra crisi».



Dal suo punto di vista, in posizione di forza, visto che il Greenlight Capital, che Einhorm fondò nel 1996 con solo un milione di dollari, ha la sua posizione più ampia in oro, bene rifugio destinato a salire ancora di valore dopo aver sfondato quota 1400 dollari l’oncia. Ma anche altre commodities sono destinate a ballare al ritmo della musica suonata dai governi attraverso le proprie scelte strategiche. È il caso della Cina che, proprio la mattina di Natale, ha alzato per la seconda volta in due mesi i tassi su depositi e prestiti di 25 punti base, decisione presa per combattere l’inflazione in continua crescita (5,1% a novembre), ma destinata a dare una scossa ai prezzi delle commodities già dalle contrattazioni di questa settimana, visto che la possibilità di monetizzare con prezzi ai massimi da anni prima della fine del 2010 potrebbe portare una correzione reale, ben più ampia delle perdite che seguirono invece il primo rialzo dei tassi a ottobre.

Petrolio e rame sono sugli scudi, i veri player di questo finale di anno ma anche altre commodities metalliche stanno performando. E, soprattutto, leggendo tra le righe, sanno raccontarci una storia che nessuno vuol che si sappia realmente. L’argento, ad esempio, parla e dice tante cose, una delle quali è rappresentata dal fatto che JP Morgan e Hsbc hanno manipolato il mercato dei futures e dei contratti d’opzione al Comex di New York per mantenerne basso il prezzo, un qualcosa che ha portato a una denuncia formale e una class action da parte dello studio legale Kaplan Fox & Kilsheimer.

 

Un giochino cominciato nel giugno 2008, quando JP Morgan acquisì da Bear Stearns le sue posizioni short sui futures dell’argento: un informatore, ex impiegato di Goldman Sachs a Londra, spifferò tutto ammettendo che i suoi colleghi a JP Morgan gli avevano rivelato i dettagli del piano di manipolazione del mercato dell’argento, consistente nel comprare enormi posizioni short di contratti futures per deprimere artificialmente il prezzo. L’8 febbraio di quest’anno i prezzi dell’argento erano al minimo, ma quando a marzo l’ex trader rese noto lo schema illegale, magicamente sono risaliti apprezzandosi dell’80% al massimo trentennale.

 

Fin qui i fatti, di per sé già sconvolgenti. Ora, la realtà, molto spesso differente dai fatti. I due giganti dell’investment banking, infatti, non hanno agito da soli per puro scopo di lucro, hanno lavorato per conto terzi ottenendo come premio proprio quei profitti della loro attività illegale. Chi era, quindi, il mandante morale (e, forse, materiale) di questa manipolazione? La Federal Reserve. Perché? Semplice, ogni aumento nel prezzo dell’argento, infatti, mina la fiducia dei mercati nel dollaro, mentre un prezzo basso di questo metallo aiuta a mantenere un appeal alto per il biglietto verde.

 

Quando il prezzo dell’argento è alto, i mercati immediatamente traducono questo aumento con inflazione e dollaro meno forte, fatto che si traduce in un deprezzamento degli investimenti denominati nella valuta americana proprio attraverso il dato inflazionistico. E a confermare l’enormità dell’operazione, basta guardare i numeri. Vendendo quantitativi enormi di argento cartaceo sul mercato dei futures, JP Morgan è stata capace di sopprimere il prezzo del metallo: oltretutto, attraverso montagne di posizioni di short naked (ovvero, non basate su argento fisico, reale), JP Morgan era short su più argento cartaceo di quanto ne esista realmente al mondo.

 

Una follia che purtroppo sta divenendo la norma, finché non si giungerà a una regolamentazione seria del mercato dei derivati: certo, se il regolatore chiamato a dire la sua è il mandante dell’operazione o un suo sodale, è dura poter sperare nel futuro. Anche perché, trucchetti del genere – denominati squeeze – sono facili da fare per gente di quel livello. Vi spiego come. Una miniera ha 5mila once di argento pronte per andare in produzione, la quota necessaria per vendere un contratto future. Spaventata dalle fluttuazioni dei prezzi, vende un contratto future garantendo uno specifico prezzo in un determinato lasso di tempo. Se il prezzo dell’argento eccede quello garantito nel contratto, l’investitore ha un profitto. Altrimenti, paga per la perdita.

Le Silver Options sono un derivato creato per permettere agli investitori di speculare sul mercato dei futures argentei mentre gli Etf sono stati creati dalle istituzioni simili a compagnie di stock holding (o mutual fund): comprano e prendono possesso di argento e oro e trattano poi contratti sia futures che di opzione. In altre parole, è un enorme castello di carte. Il livello più basso, il bottom, è l’argento fisico, il livello medio è determinato dai contratti futures in essere e il livello più alto sono i contratti di opzione che scommettono sul mercato dei futures: uno schema vantaggioso sia per JP Morgan sia per la Fed, entrambi ben felici di vedere il prezzo dell’argento saldamente ancorato ai minimi.

 

Addirittura Andrew Maguire, la spia che ha rivelato la truffa, fornì agli investigatori una nota che rivelava con due giorni d’anticipo il fatto che un’azione manipolativa sull’argento si sarebbe tenuta il 5 febbraio di quest’anno, in contemporanea con la pubblicazione del dato sugli stipendi non agricoli negli Usa. Cosa che ovviamente era accaduta.

 

Cosa dobbiamo capire da tutto questo? Che viviamo in un Truman Show basato sul denaro creato dal debito, una pantomima orchestrata da istituti come la Federal Reserve: non credo alla fine del denaro, come altri fanno, anche perché non la ritengo possibile, ma far accrescere il ruolo di denominazione valutaria reale di oro e argento, ad esempio, potrebbe essere un buon inizio per mandare a gambe all’aria i grandi manipolatori e i loro agenti sul terreno.

 

Che fare, quindi? Non mi stupirei più di tanto se fra non molto tempo si cominciasse a ragionare sulla possibilità di continuare a utilizzare dollari, euro e altre valute per i bisogni chiamiamoli immediati, per la vita di tutti i giorni, cominciando però a convertire e denominare i risparmi e gli assets a lungo termine in metalli preziosi. Suona utopico, lo ammetto, ma in un mondo del genere come pensate che potremo difenderci dai creatori artificiali di crisi economiche, sempre più frequenti e più virulente?

 

I nostri destini sono preparati a tavolino dai cercatori di profitti, le banche d’affari confezionano le prove per la nostra condanna da parte del giudice di turno (Fmi, Banca Mondiale, Banca dei Regolamenti Internazionali), le agenzie di rating sono boia che accompagnano i condannati nella sala dell’esecuzione, i regolatori schiacciano il bottone o infilano l’ago attraverso le loro misure di austerity e l’eliminazione del concetto di sovranità.

 

Come diceva Gordon Gekko, «il denaro c’è ma non si vede: qualcuno vince, qualcuno perde. Il denaro di per sé non si crea, né si distrugge. Semplicemente si trasferisce da una intuizione a un’altra, magicamente. Guarda questo quadro: l’ho comprato dieci anni fa per 60mila dollari, oggi potrei rivenderlo a 600mila. L’illusione è diventata realtà, e più reale diventa, più disperatamente la desiderano. Il capitalismo al suo meglio». Siamo in un film ma il destino di Stati e popoli che i registi hanno deciso nel copione è reale, non fiction. Pensiamoci.

P.S. Mi scuserete se colgo l’occasione per rispondere all’obiezione mossami dal lettore Attilio Sangiani riguardo il linguaggio eccessivamente tecnico utilizzato nel mio articolo di venerdì scorso sul rally del petrolio. È un’accusa che mi viene mossa a cadenze fisse e rispondo a lei come agli altri: potrei facilmente tradurre i termini tra parentesi – e a volte lo faccio – ma penso che la gente vada stimolata a cercare e capire da sola per crescere: la logica della “pappa pronta” come diceva il mio povero padre non serve a creare uomini liberi e consapevoli, non offre strumenti di valutazione, ma solo allievi ammansiti.

 

Inoltre, per chi è interessato a economia e finanza come penso sia chi legge i miei articoli, ritengo fondamentale conoscere i termini inglesi visto che il 90% dell’informazione e dell’operatività del sistema è di denominazione anglosassone. Inoltre, lei dice che a Montanelli il mio linguaggio non sarebbe piaciuto. Le rispondo dicendo che all’ortodossia linguistica e al “bastiancontrarismo” di principio del maestro, preferisco Antonio Gramsci e la sua, chiamiamola così, maieutica sociale: non sai una cosa, non la capisci? Informati, studia, sforzati, leggi, impegnati e cresci. Con Internet, scuole di ogni ordine e grado, università, librerie, biblioteche, social network, amici (lei ne è la riprova visto che, per sua ammissione, ha dibattuto con parecchie persone riguardo al mio articolo) e parenti non è difficile studiare, leggere e conoscere. Ed è bellissimo: è sinonimo di libertà, nell’accezione più trascendente di questo termine. Tutto italiano.