Inizia oggi una nuova settimana di apprensione per l’euro. S&P ha infatti messo sotto osservazione le tre principali banche portoghesi e si aspetta che l’economia di Lisbona possa tornare presto in recessione. Con molta probabilità ricompariranno a breve i timori di un contagio della crisi del debito anche per l’Italia, già visti all’inizio di settimana scorsa. Tanto più che ci avviciniamo al 14 dicembre, data in cui il governo Berlusconi sarà sottoposto al voto di fiducia parlamentare. Un momento che sarà cruciale, come ci spiega in questa intervista l’economista Francesco Forte, e che potrà essere un buon “pretesto” agli occhi degli speculatori internazionali per lanciare un attacco che va ben oltre il nostro paese.
Professore, ormai si parla sempre più di Italia nel mirino della speculazione. Cosa possiamo fare per difenderci?
Occorre prima di tutto una premessa, per capire a cosa ci troviamo realmente di fronte. A livello internazionale è ormai chiaro che la speculazione, che attraverso il debito punta a colpire l’euro, ha individuato tre segnali che possono indurre a considerare a rischio un paese. Il primo riguarda la difficoltà di onorare il debito, derivante da debolezze del bilancio pubblico o della bilancia dei pagamenti, che ha riguardato la Grecia e ora tocca il Portogallo. Il secondo è dato dai debiti delle banche e ha afflitto l’Irlanda e si pensa potrebbe riguardare anche la Spagna. Il terzo è l’instabilità politica, che sta mettendo nei guai il Belgio e l’Italia. Del resto non ci sono motivi oggettivi che possano portare a pensare che il nostro paese non sia solvibile riguardo il suo debito.
Quali conseguenze comporta questa instabilità politica?
Potrebbe pregiudicare il piano di rientro del deficit/Pil contenuto nella manovra triennale e la futura crescita economica del Paese. Inoltre l’instabilità politica dell’Italia rappresenta un argomento molto interessante per mettere l’euro in ginocchio. Questo perché il nostro paese è più grande della Spagna e fa parte del gruppo di base dell’Ue.
Vuol dire che l’euro potrebbe saltare?
Non necessariamente. La Bce potrà infatti intervenire comprando titoli di stato, naturalmente a tasso elevato (nel caso dell’Italia possiamo ipotizzare il 6%), emettendo liquidità, come sta facendo la Fed negli Stati Uniti. Un’operazione detta di facilitazione quantitativa (quantitative easing) che ora Francoforte non intende fare, ma che un attacco all’Italia renderebbe necessaria. Le conseguenze sarebbero un abbassamento dell’euro e un grosso incremento patrimoniale per le proprietà in dollari.
Il vero bersaglio quindi non saremmo noi.
Il “gioco” è cercare, attraverso l’instabilità politica italiana, di creare un problema di debito a livello di Eurozona, mettendo in difficoltà il fondo di salvataggio europeo (cui a quel punto dovrebbero contribuire Francia e Germania) e costringendo la Bce a intervenire con un’operazione di espansione monetaria (si parla persino di 1.000 miliardi di euro). Cosa che renderebbe la vita più facile al dollaro.
Una strategia “guidata” dagli Stai Uniti?
Intesi non come Governo, ma sicuramente come grandi operatori finanziari. Non dimentichiamo che negli Stati Uniti ci sono solo tre grandi banche: Goldman Sachs, Bank of America e Citibank. Il loro interesse è fare in modo che i cinesi non comprino euro al posto dei dollari, così da non mettere a rischio la tenuta dei propri parametri patrimoniali.
Il 14 dicembre sarà allora una data cruciale.
Sicuramente. Se prevarrà la fiducia, anche in misura minima, il segnale sarà che non esiste un problema reale di stabilità politica. Temo che poi si dirà che il problema è solo rinviato all’inizio dell’anno prossimo e che quindi l’Italia resterà sotto pressione. Se invece si aprirà una crisi di governo, entreremo davvero nel mirino della speculazione e saranno dolori.
Anche se si arrivasse in breve tempo a un governo tecnico?
Sì, anche se a capo di questo governo ci fosse l’uomo più severo e rigoroso sui conti pubblici, perché, oltre a dover scontare i tempi necessari all’insediamento e alla stesura del programma, risulterebbe non essere un esecutivo scelto dai cittadini e a quel punto ci si chiederebbe se gli italiani sono pronti a seguirne le decisioni.
E se invece si andasse al voto?
Sulle elezioni si proietterebbe già lo spettro di un’Italia ingovernabile, dato che la coalizione di centrodestra non sarebbe più quella attuale e potrebbe non ottenere la maggioranza necessaria, mentre a sinistra avremmo un fronte così variegato da non poter fornire garanzie sulle politiche che vorrà mettere in atto, in tema di finanza pubblica, in caso di vittoria.
Negli ultimi giorni, sui giornali c’è chi, per risolvere il problema senza un aumento delle tasse, propone un piano straordinario di dismissioni del patrimonio pubblico finalizzato ad abbattere il debito dell’Italia. Cosa ne pensa?
Bisogna intendersi. L’unica cosa che lo Stato ha attualmente di redditizio sono quote di Finmeccanica, Eni, Enel e Poste. Non ho niente contro le privatizzazioni, ma se la vendita è fatta in condizioni non favorevoli si creano solo danni. Si potrebbe piuttosto fare in modo che, in cambio dei proventi patrimoniali di queste imprese, la Cassa depositi e prestiti si addossi una quota di debito pubblico. Non si tratta di inventare nulla di nuovo: un meccanismo simile è già usato nella finanza locale. Si potrebbero ipotizzare anche altre operazioni per risolvere dei problemi di efficienza economica.
Quali?
Per esempio, si potrebbe trasformare la Salerno-Reggio Calabria in un’autostrada a pedaggio (tranne che per gli abitanti delle regioni che attraversa) con il conferimento dell’infrastruttura a una società privata che può renderla redditizia, oppure privatizzando l’Anas ci si libererebbe di debito pubblico e si creerebbe un nuovo soggetto economico di mercato. Queste, così come la precedente, sono però operazioni strutturali, che come tali non danno un vantaggio immediato per la riduzione del nostro debito pubblico.
(Lorenzo Torrisi)