E’ una partita molto lunga quella giocata tra Bruxelles e i campioni europei dell’energia, sempre spalleggiati dai rispettivi governi nazionali. Uno scontro epocale, iniziato con le prime direttive del 1996 e del 1998, che hanno liberalizzato le filiere dell’energia elettrica e del gas, e proseguito nel tempo con nuove norme e istruttorie dei vari Commissari per la concorrenza.



Lo scontro si è inasprito a fine 2007, quando la Commissione ha preso atto che una norma stringente sulla separazione proprietaria delle reti non sarebbe passata, proprio per le pressioni di alcuni governi: Francia e Germania in testa.

Neelie Kroes, il Commissario della concorrenza, si è così duramente confrontata con Rwe, E.On, Gdf Suez e, da ultimo, con Eni. L’obiettivo dichiarato è quello di attenuare il potere di controllo del Cane a sei zampe sui gasdotti internazionali, sui quali avrebbe: rifiutato ai propri concorrenti l’accesso alla capacità di trasporto disponibile (capacity hoarding), offerto capacità in maniera da limitarne il valore (capacity degradation) e limitato strategicamente l’investimento (strategic underinvestment), abusando quindi della propria posizione dominate. In attesa della fine dei tempi supplementari, due mesi durante i quali ci sarà la consultazione dei vari stakholders (noto come market test), la partita si è conclusa con un pareggio.



Il nostro Campione nazionale dovrà cedere il Tenp (che via Germania porta il gas olandese), il Transitgas (che attraversa la Svizzera), e il Tag (che passando per Austria e Slovacchia consente l’importazione del gas russo). Le quote Eni nei primi due, rispettivamente del 49 e del 46%, saranno vendute sul mercato con diritto di prelazione riservato agli altri azionisti: nel primo caso E.On e nel secondo Swissgas. A questo proposito, il dubbio sorge abbastanza spontaneo: la Commissione crede davvero che la concorrenzialità del mercato possa aumentare con il Tenp controllato solamente da E.On?



 

Per contro il Tag, controllato all’89%, invece, non sarà venduto al mercato ma a un soggetto pubblico italiano, “molto probabilmente la Cassa depositi e prestiti”, eventualità, invero, prospettata da molti e da diverso tempo.

 

Nonostante le cessioni delle quote azionarie, all’Eni restaranno i diritti di transito, posticipando così qualsiasi conseguenza fattuale, tanto da far dire all’ad Paolo Scaroni: «Per noi è una scelta dolorosa più sul piano concettuale che su quello pratico» e ancora «non è alterata la strategia dell’Eni perché non tocca il cuore delle nostre attività, visto che l’impegno preso non ci fa male né sul piano commerciale né su quello finanziario».

 

Anzi su quest’ultimo, il rischio di una sanzione da 1 miliardo di euro è diventata una entrata da 1,5 miliardi di euro, 800 milioni dal solo Tag. Certo, non è tantissimo rispetto all’ammontare degli investimenti del 2008, pari a circa 13 miliardi di euro, ma è pur sempre una cifra sostanziosa.

 

Cosa succederà ora? L’uscita da Tenp e Transitgas aumenterà senz’altro le opportunità d’importazione per nuovi soggetti, con la speranza che i consumatori nostrani ne traggano qualche beneficio. Un ruolo di primo piano potrebbe averlo proprio E.On, principale concorrente europeo di Eni, con grandi ambizioni nel mercato italiano.

 

Più articolate e meno scontate le conseguenze sul Tag. In ogni caso il gasdotto sarà in mani italiane, per di più statali, in fondo le stesse che stringono il 30% dell’Eni. In più, la salvaguardia dei diritti di trasporto allontana il grave rischio di inadempienze sui ritiri di gas russo, governati dalle non troppo flessibili clausole sui volumi importati previsti nei contratti con Gazprom.

 

 

E’ presto per dire se il risultato di questa partita avrà delle conseguenze su altri match che impegnano Eni, a cominciare da quello con l’Autorità per l’energia italiana sulla separazione di Snam, proprietaria della rete di trasporto italiana, a quella sempre meno trascurabile con il fondo “attivista” Knight Vinke, che vorrebbe una separazione delle attività upstream del Cane a sei zampe da quelle downstream.

 

A questo proposito, Eric Knight, l’ideatore del fondo, dice di aver dalla sua i primi 700 azionisti, pari al 25% del capitale.

 

Staremo a vedere, di certo se ne parlerà ancora. Al modesto avviso degli autori, tuttavia, pare strano che il problema relativo alla proprietà e alla gestione delle infrastrutture di stoccaggio abbia così poco risalto a livello europeo rispetto al problema de gasdotti.

 

A ben vedere, infatti, lo stoccaggio è molto più efficace del tubo sia a garantire la flessibilità del sistema (italiano o europeo), sia ad essere utilizzato in modo strategico, attuando pratiche anticoncorrenziali. Ma queste sono solo considerazioni da economisti.