La firma dell’accordo di joint venture tra la russa Stoller e Fiat è un passo importante per l’azienda torinese. La produzione riguarderà le piattaforme più grandi di Fiat, quelle concernenti i segmenti C, D e SUV. A regime, nel 2016, si prevede una produzione di circa 500 mila veicoli l’anno.
L’entrata nel mercato russo va nella direzione intrapresa ormai da anni dall’amministratore delegato di Fiat, Sergio Marchionne, di globalizzare l’azienda. La chiusura di Termini Imerse deve essere vista proprio in questa prospettiva. Gli impianti produttivi italiani sono poco competitivi e per troppi anni vi è stato un tacito accordo tra i Governi e Fiat per mantenere l’occupazione in Italia con una politica dell’incentivazione e di sussidi. Questa politica si è rivelata utile in alcuni casi nel breve periodo, ma totalmente fallimentare nel lungo periodo.
Andando indietro nella storia di Fiat e della produzione automobilistica italiana si è visto un continuo declino. Mentre il mercato italiano continuava a crescere dal lato della domanda o rimaneva stabile grazie anche alle politiche d’incentivi alle vendite, gli stabilimenti italiani della casa automobilistica torinese continuavano a produrre sempre meno automobili.
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Questa scelta si è accentuata con l’entrata del nuovo management Fiat che ha compreso che l’internazionalizzazione della produzione era necessaria per la sopravvivenza. Gli stabilimenti italiani di Fiat sono gli unici sul territorio italiano e questo perché, come ben sottolineato da Ugo Arrigo, le classi dirigenti non hanno mai saputo attrarre case automobilistiche straniere.
L’acquisto del 20 per cento di Chrysler è stato un altro passo della globalizzazione dell’impresa. Lo stesso AD di Fiat ha dichiarato essere necessario produrre almeno 5 milioni di veicoli l’anno per poter competere nel mercato sempre più concorrenziale dell’automobile. Le economie di scala sono necessarie e la creazione di piattaforme uniche tra Fiat e Chrysler potrebbe aiutare a raggiungere l’obiettivo. E proprio le economie di scala mancano negli stabilimenti italiani.
La produzione italiana è stata frammentata non tanto per motivi industriali, quanto per motivazioni politiche. Avere più fabbriche su tutto il territorio poteva andare bene in un mercato auto motive italiano chiuso alla concorrenza come quello degli anni ’70. Con l’entrata di nuovi competitor, Fiat si è ritrovata in dote troppi stabilimenti in Italia e Marchionne è stato il primo amministratore delegato di Fiat a trovare il coraggio di razionalizzare.
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La razionalizzazione comporta dei costi sociali non indifferenti, come la chiusura di Termini Imerese nel 2011 o quella che potrebbe avvenire tra qualche anno, Pomigliano d’Arco. In Italia, con cinque stabilimenti, Fiat produce lo stesso numero di automobili che produce con uno stabilimento in Polonia. Lo stesso nuovo impianto russo produrrà quasi lo stesso numero di veicoli che sono stati prodotti in Italia nel 2008.
Questa scelta di andare in Russia non deve essere vista come un disimpegno della casa automobilistica torinese dall’Italia, quanto una mossa strategica per andare nei mercati del futuro. Senza una presenza nei mercati asiatici o dell’Est Europa, la nuova Fiat anche con in dote la Chrysler salvata dai contribuenti americani, non potrà mai competere nel mercato globale.
Un solo dato può rivelare l’importanza di andare verso est: nel 2009 il primo mercato automobilistico è stato quello cinese, superando quello statunitense. I sindacati, che si sono subito scagliati contro questa decisione di entrare in forza nel mercato russo, non comprendono questo fatto.
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Fiat con Chrysler avrà una quota di mercato inferiore al 10 per cento in Europa e negli Stati Uniti, due mercati molto maturi e con poche possibilità di crescita. È la ragione per la quale, la joint venture firmata con i russi deve essere vista come un’opportunità e non come una minaccia.
La visione dei sindacati è ancora una volta quella di breve periodo. Termini Imerese chiuderà non perché Fiat va verso i mercati del futuro a produrre, ma soprattutto per le incapacità dei vari Governi Italiano di favorire la produzione automobilistica in Italia.