Nel 1872 Friedrich Nietzsche scriveva Die Geburt der Tragödie (La nascita della tragedia dallo spirito della musica ovvero Grecità e pessimismo), individuando due caratteri tipici della società greca pre-socratica, opposti e in perenne contrasto tra di loro: lo spirito apollineo, proprio dell’equilibrio della ragione, e lo spirito dionisiaco, simbolo della frenesia orgiastica delle feste di Dioniso.
A Bruxelles e nelle capitali finanziarie europee si sta discutendo da giorni della preoccupante situazione fiscale della Grecia – Paese forse colto negli ultimi anni da una deriva dionisiaca di spesa pubblica incontrollata – che potrebbe generare gravi conseguenze ben oltre i confini dell’Attica.
La crisi sorta nella penisola ellenica sta infatti mettendo pericolosamente in dubbio la credibilità dell’accordo che è alla base stessa dell’Unione monetaria europea. Il “Patto di stabilità e di crescita” prevede infatti che gli Stati membri che hanno deciso di adottare l’euro, soddisfacendo i parametri di Maastricht, siano tenuti a rispettare nel tempo alcuni importanti vincoli di bilancio: un deficit pubblico non superiore al 3 per cento del prodotto interno lordo e un debito statale che rimanga al di sotto del 60 per cento del Pil.
Se quindi il vantaggio derivante dall’adesione all’euro è stato, come noto, un minor costo del debito in termini di interessi pagati – soprattutto per paesi meno virtuosi come Italia, Spagna, Portogallo e Grecia – d’altro canto si è de facto vincolata la politica fiscale dei singoli Stati membri, limitandone la capacità d’intervento in periodi di crisi economica come quello attuale.
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Oggi la Grecia si trova a sostenere un deficit di bilancio vicino al 13 per cento del Pil, con un debito pubblico ben oltre il 110 per cento del prodotto interno lordo, entrambi retaggio di anni di mala gestione della cosa pubblica. In gioco non è tuttavia solo la credibilità del governo di Atene, impegnato ora a riportare questi indicatori in linea con il Patto di stabilità e di crescita: il tema riguarda soprattutto la tenuta stessa della moneta unica e la capacità delle istituzioni europee di intervenire a tutela dell’Unione monetaria senza per questo contravvenire ai trattati istitutivi (ad esempio, l’articolo 125 del Trattato dell’Unione europea, che vieta qualsiasi salvataggio degli Stati membri in difficoltà).
Il 15 gennaio 2010 il governo greco ha comunque presentato alla Commissione europea un piano di rientro per il prossimo quinquennio che prevede una riduzione del deficit di quasi 11 punti percentuali del Pil: leggendo tra i dettagli, si stima che già alla fine del 2012 il deficit rientrerà al di sotto della soglia del 3 per cento.
Questo aggiustamento fiscale prevede nel 2010 una riduzione del disavanzo pubblico di quattro punti percentuali, attraverso un pacchetto di misure che coinvolgono sia le entrate che le spese statali. Ma nonostante l’apparente buona volontà di Atene e il ritorno a uno spirito di gestione più “apollineo”, vi sono alcuni fattori che rischiano di ostacolare un’azione così drastica sui bilanci pubblici.
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Una delle variabili fuori controllo è l’andamento dell’economia nazionale nel suo complesso: un aumento atteso delle entrate, in un periodo di crisi economica come quello che stiamo attualmente vivendo, presuppone – ad aliquote costanti – un altrettanto sensibile incremento delle spese per consumi. Cosa alquanto difficile nel contesto attuale. E, viceversa, aumentare le imposte andrebbe a deprimere la già flebile crescita economica nazionale.
D’altra parte, un elemento che potrebbe minare alla base il piano di rientro è la reazione dell’opinione pubblica a un taglio sensibile della spesa statale (pensioni, sussidi e salari dell’amministrazione pubblica), nonostante che il governo di centro-sinistra oggi in carica disponga di un’ampia maggioranza parlamentare e sia in una posizione apparentemente più vantaggiosa per trattare misure impopolari con i sindacati e le parti sociali del Paese.
Come se ciò non bastasse, un altro punto di criticità riguarda l’attendibilità dei conti greci, i quali da più parti sono continuamente messi in dubbio – fatto che certamente non giova a cementare la credibilità del “Patto di stabilità e di crescita” nei confronti dell’esterno.
A questo punto ci si può soltanto augurare che lo spirito apollineo venga realmente in soccorso al governo di Papandreou, affinché questa nuova tragedia greca possa compiersi e, come pare sia accaduto anche in passato, abbia finalmente la meglio “l’eccesso razionalistico” socratico – che si spera possa portare nel prossimo futuro a un atteggiamento fiscale decisamente più accorto e rigoroso.