Qualcosa, forse, si muove. «Lo swap sul debito del 2001 tra il governo greco e Goldman Sachs era legale e compatibile con le norme Eurostat». Questo ha sostenuto ieri il ministro delle Finanze greco, George Papaconstantinou, in un’audizione al Parlamento europeo nel tentativo, estremo, di salvare un’altra volta la faccia del proprio paese a fronte del fatto che la commissione Ue ha già fatto sapere che intende chiedere ad Atene i dettagli di quell’operazione sui derivati.
Come scritto due giorni fa da ilsussidiario.net, quindi, Wall Street potrebbe aver avuto un ruolo tutt’altro che secondario nel gioco delle tre carte messo in atto dal governo ellenico negli ultimi anni al fine di truccare i conti ed evitare sanzioni dall’Unione per i proprio comportamenti riguardo i conti pubblici. Dubito che l’Ue avrà il coraggio di andare fino in fondo e scontrarsi contro una corazzata come Goldman – la quale, da parte sua, potrà far valere il fatto di aver operato sempre in maniera corretta e non soltanto in soccorso della Grecia, ma di altri paesi dell’Unione che ora tacciono -, ma almeno chiedere chiarezza è un passo avanti.
Tra non molto, poi, sarà il turno della Spagna di finire sotto la lente d’ingrandimento di Bruxelles, poiché Madrid ha raccolto richieste per 12 miliardi di euro per la sua emissione da 5 miliardi di euro di titoli del debito pubblico con scadenza a 15 anni. Ovviamente il tasso è altissimo e quindi tutti si sono lanciati nell’acquisto, certi che il precedente greco non permetterà a nessuno paese dei Pigs di andare a fondo: gli speculatori, invece, al Chicago Merchantile Exchange scommettono in negativo, sia sull’euro che sul rischio di default sul debito. Vedremo chi, tra istituzionali e dark pools, avrà ragione.
Nel frattempo, ieri le Borse hanno ricominciato a correre trascinate dalle buone chiusure asiatiche, dalle performance – soprattutto in Italia – dei titoli bancari e dai futures positivi di Wall Street garantiti dal dato in base al quale le nuove costruzioni di unità abitative negli Usa a gennaio sono salite a 591mila, valore destagionalizzato, in crescita del 2,8% rispetto al valore di dicembre, rivisto a 575mila e del 21,1% rispetto al livello di gennaio 2009, a 488mila. Le licenze di costruzione a gennaio, invece, si sono attestate a 621mila, dato destagionalizzato, il 4,9% sotto il valore rivisto di dicembre (653mila).
Come già detto nei giorni scorsi, se c’è qualcosa di interessante nel mercato immobiliare Usa è la nuova bolla che va formandosi velocemente giorno dopo giorno grazie alle politiche del governo: ma si sa, la Borsa ormai vive day-by-day, arraffa quello che può e spera di salvarsi la pellaccia il giorno dopo. Alla faccia dei fondamentali. Insomma, come stanno le cose là fuori ormai lo sappiamo: è inutile ripetere il ritornello sul rischio di spirale del debito, visto che comunque ognuno tira l’acqua al proprio mulino e nega persino l’evidenza.
Speriamo non abbia fatto così – e non abbiamo ragione per dubitarne – anche Giulio Tremonti, il quale ha rassicurato tutti rispetto alla tenuta dei conti italiani e al rischio, paventato da qualcuno, di intervento sulle pensioni a fronte di un debito ormai stellare, ancorché consolidato negli anni. Ciò che inquieta di più in questo momento, almeno il sottoscritto riguardo l’Italia, è l’atteggiamento assolutamente inaccettabile e alle soglie della turbativa di Borsa che vige attorno al caso Fiat-Termini Imerese.
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Ieri il ministro Scajola ha reso noto che per la riqualificazione dell’area sono stati già presentati quattordici progetti, alcuni dei quali facenti capo a investitori stranieri: ci fa piacere. Ma ancora di più lo ha fatto al Lingotto che dopo queste parole ha visto schizzare il titolo Fiat alle stelle. Sembra di rivedere il caso Alitalia. E, come allora, occorrerebbe porre un freno all’assurda altalena delle azioni, visto che ogni giorno una nuova voce – non si sa quanto vera o falsa – manda sulle montagne russe il titolo: o si decide per una trattativa silenziosa, con comunicati o conferenze stampa ufficiali a Borsa chiusa oppure si sospenda temporaneamente il titolo dalle contrattazioni al valore attuale.
Non è accettabile, in un regime di libero mercato, che un soggetto di fatto parastatale come Fiat possa intavolare pantomime come quelle attuali senza essere messo di fronte a scelte drastiche: negli Usa l’atteggiamento verso General Motors è stato decisamente diverso. Per quanto ancora dovremo vedere la politica industriale decisa nelle stanze dei ministeri non è dato a sapersi in questo paese, ma la Consob dovrebbe porre un freno, o quantomeno dei paletti, a questo stillicidio di voci continue e infinite che di fatto turba l’andamento del titolo e quindi la correttezza del mercato azionario.
Lo so, toccare Fiat è il primo passo verso la lesa maestà, ma se non si comincia a prendere delle decisioni chiare, questo paese continuerà a vivere casi Alitalia o più recentemente quello Telefonica-Telecom: nessuno è così ingenuo da pensare che la politica stia fuori dall’economia, ma a tutto deve esserci un limite. L’Italia è il paese delle “opa tiepide”, altrove sono amichevoli od ostili, qui sono fatte a mezzo stampa apposta per essere smentite o confermate il giorno dopo dal Palazzo: e i titoli delle aziende in questione, guarda caso, volano.
In molti si strapparono le vesti quando Silvio Berlusconi, nel pieno della crisi, consigliò agli italiani di investire in Eni, Enel e Finmeccanica: certo, poteva evitarselo essendo il premier, ma è molto più grave quanto sta accadendo in queste ore nel silenzio totale della Consob e nel disinteresse interessato – l’ossimoro è non casualmente voluto – di Confindustria.
Questo è il paese dei capitalisti di Stato, verrebbe voglia di ripetere il colorito ma azzeccato modo di dire di Sergio Ricucci ma la situazione è grave: qui non si parla solo del declino della politica industriale nel Mezzogiorno, non si parla solo di allarme occupazionale, si parla di tradimento totale delle regole minime del libero mercato. Il governo dimostri serietà: convochi le parti, chieda il silenzio e dia un termine fisso e improcrastinabile per presentare le soluzioni. Con il balletto degli annunci, si arriva a una versione travestita e disfunzionale dell’Iri. E l’Italia, oggi, ha bisogno di tutto tranne che di questo. Occorre una svolta. Il governo la dia.