Il salvataggio della Grecia è diventato nei giorni scorsi un piccolo giallo. Soprattutto in Francia e in Germania, dove Nicolas Sarkozy e Angela Merkel hanno dovuto prestare orecchio alla ragion di stato, che li «obbliga» a intervenire come rappresentanti delle economie più forti d’Europa a sostegno dei conti di Atene, e allo stesso tempo ai malumori dei parlamenti, piuttosto restii a togliere dai guai i greci con i soldi dei contribuenti. L’Italia, com’era prevedibile, è finita sotto i riflettori, ma lunedì Tremonti ha rassicurato: «non esiste alcun tipo di buco, c’è solo un fatto di contabilizzazione assolutamente noto». Cosa sta rischiando davvero l’Unione europea? Ilsussidiario.net lo ha chiesto all’economista Mario Deaglio.
Professore, la Ue attraversa uno dei suoi periodi più difficili: un rischio di default come quello di Atene non si era mai verificato. Cosa sta accadendo all’Unione?
Un problema riguarda i meccanismi con i quali opera la Ue. Non ha un vero e proprio governo né un ministro dell’Economia e quindi si ritrova senza la possibilità di interloquire con la Grecia come istituzione. C’è l’Ecofin (l’assemblea dei ministri finanziari di tutti i paesi, ndr) ma da lì ad essere un organo esecutivo ne corre. Ecco perché sono ancora i singoli stati a parlare tra di loro. Il secondo problema è che la Bce non può fare prestiti ai governi. Se l’Ue assomigliasse un po’ di più agli Stati Uniti molti problemi sarebbero facilmente risolti.
Cosa intende dire?
Negli Usa quando il governo è in difficoltà interviene la Fed e stampa moneta. In poche parole «apre un conto» al governo. È così che di recente l’amministrazione ha potuto contare su 300 miliardi che prima non aveva. Ma in Europa la Bce non può far questo. Se l’Europa non interviene i debiti pubblici di tutti i paesi ne saranno in qualche modo interessati. Anche l’Italia potrebbe avere qualche riflesso negativo.
«Non ho motivo di dubitare a priori della sincerità e della trasparenza dei conti pubblici di alcun altro Paese europeo» ha detto domenica Jean Claude Trichet. Dopo le rassicurazioni di Tremonti l’Italia può stare tranquilla?
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La realtà è che i nostri conti sono buoni perché abbiamo un avanzo primario: al netto degli interessi le tasse bastano a pagare le spese e qualche volta pure avanzano. Quindi gli interessi che paghiamo sono sul debito vecchio. Ma il caso di Grecia e Spagna è diverso perché hanno un debito e un Pil inferiore a quello dell’Italia. E stanno facendo debiti non per pagare i debiti veri, ma per pagare gli interessi sui debiti veri. E questo peggiora non poco la loro situazione.
Se la sente di abbozzare uno scenario?
Difficile fare previsioni. Una possibilità è che i partner più forti dell’Ue – quelli che rappresentano la metà del Pil dell’Unione – intervengano a mettere una garanzia sul debito greco. Credo che sia questa la soluzione alla quale si sta lavorando. La cifra non è poi così grande: Francia e Germania non stanno benissimo ma sono i soli che potrebbero farlo ora. Certo per intervenire chiederebbero alla Grecia politiche ancor più restrittive e certamente qualcosa in cambio. Diversamente l’Ue non ha gli strumenti istituzionali per intervenire come soggetto unitario. A scanso di equivoci però teniamo ben presente una cosa: l’euro è una soluzione definitiva e non si può uscirne.
Sembra che perfino la Cina abbia interesse ad aiutare la Grecia. Che ne pensa?
La Cina sta facendo una politica di espansione finanziaria in tutto il mondo – Africa e America latina in testa – finalizzata a progetti industriali. Però è vero: in questo caso mettere il piede nel debito di uno stato sovrano potrebbe avere per la Cina qualche interesse.
Qual è secondo lei la situazione degli altri Pigs?
Il paese che sulla carta dovrebbe star meglio è l’Irlanda, perché ha accettato una cura correttiva da cavallo a cominciare dalla retribuzioni: la gente si è tagliata selvaggiamente lo stipendio e per il momento sembra funzionare. La Spagna? Staremo a vedere. Cosa poi ci sia dentro le finanze del Portogallo lo sanno in pochi.
Si è parlato per la Grecia di conti truccati. Secondo lei ci sono state delle connivenze della finanza internazionale nell’occultare la gravità del debito greco?
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Si rimprovera alla Grecia non solo che i suoi conti siano falsi ma che in questa falsificazione ci sia stato l’apporto determinante di una grande banca internazionale come Goldman Sachs e forse anche di Morgan Stanley, che avrebbero sottoscritto dei prestiti greci facendosi dare una garanzia addizionale – non a conoscenza del mercato – su certe entrate specifiche della Grecia. «Occultare la gravità» non dovrebbe essere possibile perché i conti dovrebbero essere trasparenti e quelli statali in modo particolare. Però nel caso della Grecia non è stato così e c’è da chiedersi in effetti quante «Grecie» ci sono.
Un paese con rating economici forti come la Germania è davvero a posto?
Se parliamo di finanza pubblica direi che Francia e Germania sono a posto, anche se tra i due la Francia probabilmente lo è un po’ di meno. Esiste una vera e propria leggenda sui conti francesi: di recente un direttore del tesoro francese ha scritto un romanzo fantascientifico ipotizzando il fallimento della Francia, basandosi sul «si dice» di un 20 o 30 per cento di debito pubblico che non emergerebbe mai.
L’equivalente della sanità italiana?
Appunto. Basti pensare che sulla sanità noi diamo ad Eurostat i conti di competenza e non per cassa e pertanto diamo le previsioni del governo e non la spesa effettiva, che è più alta. Ma qualcosa di non perfettamente chiaro nei conti ce l’hanno tutti.
Torniamo alla Germania. Lei dice che i suoi conti sono solidi, ma che fine hanno fatto gli asset tossici presenti nelle banche tedesche?
Se guardiamo il sistema finanziario del paese nel suo complesso le parti si invertono, perché la Francia mi sembra complessivamente più solida della Germania proprio per il motivo che dice lei: le banche tedesche hanno in pancia molti titoli che sono come minimo un punto interrogativo. L’anno trascorso dovrebbe aver migliorato la situazione sia per la risalita delle borse sia perché il governo Usa ha acquistato buona parte di quei titoli stabilizzando i prezzi. Ma se dovesse riaprirsi la crisi finanziaria quello sarebbe certamente un punto di grave debolezza.
Come si può risolvere la contraddizione tra stati sovrani più forti e debolezza istituzionale europea? Siamo alle porte di una nuova «formulazione» della sovranità?
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Il realismo richiede una forte azione politica ma l’azione politica possono farla di concerto solo gli stati maggiori: Germania e Francia e magari Italia. Potrebbero attuare politiche industriali e di bilancio concertate nell’ambito di un gruppo più ristretto. È vero che sarebbe la configurazione di un’Europa diversa, ma potrebbe produrre buoni risultati. La priorità a mio modo di vedere è stabilizzare la situazione.
Non trova che questa situazione sia figlia della rigidità eccessiva con cui è stata concepita la moneta unica? Ancorata al marco e senza differenziare le «velocità» delle diverse economie.
Direi di sì. Ricordiamoci che l’euro è sostanzialmente un prodotto della caduta del muro di Berlino. Quando Germania e Francia si sedettero a un tavolo per fare l’unione monetaria, la Francia vi colse l’occasione per fare una moneta che limitasse lo strapotere del marco; la Germania diede il suo assenso a patto che l’euro non mettesse a rischio il suo sistema economico. Il bilanciamento comportò per tutti gli altri paesi delle politiche rigide e uniformi. Ecco il perché di quel Patto di stabilità.
Quanto si potrà andare avanti senza un debito comune degli stati europei?
Dipende da molti fattori che non controlliamo. La mia impressione è che si andrà avanti ancora molto perché la Germania non lo vuole. E non lo vuole perché come sempre ha paura di pagare più degli altri. In realtà se i tedeschi vogliono essere un grande paese devono fare il primo passo. Ora sono in prima linea con la Grecia non perché gli piaccia la Grecia, ma perché se non intervengono si apre una falla nell’euro che non giova alla reputazione di nessuno. Credo che lo abbiano capito.
Cosa pensa dell’introduzione degli Eurobond come strumento per finanziare l’economia europea?
Trovo che sia un’iniziativa giusta, ragionevole e a lungo andare inevitabile. Ma se si vuole andare alla radice del problema occorre un sistema come quello americano, dove lo stato federale gestisce un tipo di imposte e servizi e il singolo stato dell’Unione altre imposte e servizi. Idem per l’Unione europea naturalmente con un meccanismo di compensazione tra chi paga troppo e chi paga troppo poco. Io penso che si dovrà arrivare a questo. Per farlo c’è un nodo politico da risolvere perché non tutti i paesi possono aver lo stesso peso e occorre che i paesi piccoli si rassegnino a contare di meno.