Il Presidente Obama nella giornata di mercoledì si è recato in una centrale elettrica del Maryland, dove è intervenuto nuovamente e con determinazione sul tema della produzione dell’energia elettrica. La politica americana, indirizzata dallo stratega e Segretario dell’energia, il professor Steven Chu, ha perseguito nell’ultimo anno tre obiettivi precisi: ridurre drasticamente le emissioni di CO2, evitare ogni dipendenza dall’estero, creare occupazione.



Il Presidente ha annunciato personalmente l’erogazione di un finanziamento di oltre 8,3 miliardi di dollari all’utility Southern Company, azienda operativa della Georgia Power di Atlanta, che si appresta a realizzare due impianti elettronucleari nello stato del Sud, già autorizzati da metà 2008. Nel suo discorso, Obama ha citato i dati di riduzione della CO2 attesi: le due centrali, sostituendo impianti a combustibili fossili consentirebbero un abbattimento nell’emissione di CO2, equivalente alla scomparsa dalle strade di circa 3 milioni di autoveicoli.



Il Presidente fa riferimento, inoltre, alla creazione di nuovi posti di lavoro: 3000 nei cinque anni di costruzione e 800 per gli oltre 50 di successivo esercizio. Senza aggiungere i vantaggi imprenditoriali per chi realizza le tecnologie. Il prestito garantito americano, che copre il 70% dell’investimento annunciato, potrà essere affiancato da un altro prestito dello Stato giapponese, molto interessato poiché il fornitore dell’impianto è la Westinghouse, società controllata dalla loro Toshiba. 

La scelta di Obama si inserisce sui dati di crescente consenso del popolo americano verso il nucleare: il Washington Post ha parlato in questi giorni di una percentuale di favorevoli pari al 59%, di cui il 27% fortemente a favore. Obama ha ricordato come la tecnologia abbia fatto significativi e straordinari passi verso la sicurezza e come si siano tratti insegnamenti da qualche errore del passato (“Do you remember Three Mile Island?”). 



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Ma l’aspetto interessante di questo annuncio, al di là dell’uscita non scontata di un presidente democratico a favore di questa tecnologia, è legato proprio al finanziamento pubblico. La creazione di imprenditoria e di posti di lavoro, da un lato, si affianca alla possibilità di rendere maggiormente percorribile l’investimento.

 

Tra gli elementi critici della tecnologia nucleare c’è infatti l’ingente investimento (dai 3 ai 4 miliardi di euro a impianto). Infatti l’energia prodotta con fonte atomica, a fronte di un costo di esercizio molto più contenuto rispetto alle centrali a combustibile (dove il costo di funzionamento è molto alto in particolare se si usa il gas naturale), è sensibilmente influenzata dal costo dei finanziamenti ovvero dal costo del denaro.

 

 

 

La finanza privata, quella delle grandi banche di affari, si attende ritorni sul denaro (10%?) difficilmente conciliabili con queste infrastrutture fortemente “capital intensive”. Un costo del denaro calmierato (5-6%) modifica radicalmente i risultati economici e le decisioni di chi deve investire. Nei dibattiti dei media americani a proposito del nucleare già si leggevano annunci del tipo “Wall Street Hates It” ed i commentatori rilevavano uno strano abbraccio tra i bankers della capitale finanziaria e l’estrema sinistra ideologica americana.

 

 

 

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Ora che lo Stato centrale interviene abbassando le barriere del ritorno al nucleare (negli USA erano 30 anni che non si avviava una nuova costruzione), bisognerà vedere la reazione del private banking, solitamente favorevole ai ritorni immediati e maggiormente incline alle bolle della green economy (dopo i lauti guadagni derivanti dalla net economy), ma meno disponibili per infrastrutture con tempi di ritorno lunghi.

 
I Governi, quello americano insegna, dovrebbero avere la pazienza verso investimenti con ritorni nel medio-lungo periodo per dotare il Paese di infrastrutture utili per mezzo secolo. In Europa sono due i Paesi che hanno ripreso la strada per gli investimenti al nucleare: il Regno Unito e l’Italia. Ma, a ben guardare, la nostra politica è lontana dal pragmatismo e dalla lungimiranza d’ oltreoceano.

 

 Ad obiettivi chiari e precisi del Governo, ai quali occorre ancora una volta dare atto, si contrappongono, anche negli stessi ambienti, tatticismi e personalismi: mentre lo stesso governo minimizza le risorse, le Regioni si nascondono dietro ad un attendismo del “NI” e l’opposizione si adagia sugli isterismi ideologici delle ali estreme. Stiamo definendo il volto energetico ed economico dell’Italia per i prossimi trent’anni: ci vorrebbe un dialogo più responsabile e meno imbarazzante opportunismo!

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