Così parlò il filantropo: un pacchetto di aiuti è sufficiente per salvare la Grecia, ma non risolve i problemi dell’euro. Parola dello speculatore miliardario, ora tramutatosi in salvatore del mondo, George Soros. In una lettera al Financial Times, Soros scrive che «un’assistenza mirata è sufficiente per salvare la Grecia, ma restano i problemi di Spagna, Italia, Portogallo e Irlanda. Tutti insieme questi paesi rappresentano un pezzo di Eurozona troppo grande per essere aiutato allo stesso modo». Per questo, secondo Soros, «il salvataggio della Grecia lascia aperto il problema del futuro dell’euro».
Soros, però, non ha tutti i torti. Anzi. Ha decisamente ragione. Tanto più se l’Europa continuerà a comportarsi come sta comportandosi sulla questione Grecia. Ieri il differenziale di rendimento tra i decennali greci e tedeschi è sceso di tre punti a 314 punti base, questo grazie alla buona accoglienza da parte dei mercati della voce, diffusa dal settimanale Der Spiegel, secondo la quale il ministero delle Finanze tedesco starebbe preparando un piano europeo di aiuti tra i 20 e i 25 miliardi di dollari.
Peccato che, a stretto giro di posta, sia il governo tedesco che quello greco abbiano smentito l’esistenza del piano stesso. Insomma, confusione totale. Confermata nella tarda mattinata di ieri anche dalla commissione Ue: «Non c’è un piano del genere – ha dichiarato il portavoce Ue Amadeu Altafaj – perché la Grecia non ha chiesto neppure un euro di aiuti finanziari». Il piano c’è, in verità, è che Berlino nicchia nell’ufficializzarlo perché vuole e deve trovare un modo per renderlo digeribile ai propri compatrioti: insomma, vanno create le condizioni affinché il salvataggio greco diventi un qualcosa di indispensabile agli occhi di contribuenti e risparmiatori.
Serve, in parole povere, un bello spavento. Bisogna portare la situazione greca fino quasi al punto di non ritorno, ovviamente controllando gli avvenimenti e approntando i paracadute del caso, porre l’opinione pubblica di fronte al rischio del contagio in tutta l’eurozona e allora, solo allora, quando si avrà paura di un default argentino generalizzato dei cosiddetti paesi Pigs, si potrà agire con il consensus necessario. Strategie vecchie ritrite ma sempre valide.
Il problema è un altro: ovvero, risolto il caos greco va affrontata la situazione più generale dell’euro e per farlo occorre che i politici, non i burocrati non eletti, ordinino alla Bce, in forza dell’articolo 219 dell’Unione, di svalutare l’euro al fine di evitare che quel 20% di sopravvalutazione attuale non ci porti dritti dritti verso una trappola deflattiva. Ovviamente non lo faranno, perché si naviga a vista e la Bce, oggi in cerca di un successore a Trichet, è e rimane troppo potente: non è un caso che la guerra aperta tra i vari membri sia quella per decidere tra Mario Draghi e Alex Weber come nuovo governatore della moneta unica.
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E qui entra in campo una buona dose di dietrologia d’accatto: una delle liabilities, delle debolezze, della candidatura dell’attuale governatore di Bankitalia sarebbe – per tedeschi e americani, molto interessati al fatto che alla Bce continui la politica di miopia perseguita con successo per anni da Trichet – il suo passato come vice-presidente della filiale londinese di Goldman Sachs, nemmeno avesse fatto parte di Prima Linea o Lotta Continua, visto che in quel caso dirigerebbe un giornale o sarebbe opinionista in tv.
Guarda caso, ecco i fari del mondo che vengono puntati sul contratto swap valutario posto in essere nel 2001 tra governo greco e Goldman Sachs, reo di aver “corretto” i dati del debito di Atene ma, soprattutto, di essersi rivelato un investimento per Goldman che, una volta chiuso il deal, poi si sarebbe posta al ribasso contro il debito greco. Che enorme affronto alla moralità! È normale, infatti, che dopo aver condotto una due diligence sui reali conti della Grecia, Goldman abbia sì compiuto il suo ruolo di banca d’investimento ma poi, forte delle sue conoscenze, si sia posta al ribasso: i fatti di questi giorni, parlano da soli. Quel debito era una fogna a cielo aperto, un oceano di dissesto che la paletta e il secchiello di Goldman non avrebbero mai potuto prosciugare: quindi, scommetto contro.
Non siano di fronte a funzionari della Bce o della Commissione europea che, dato il via libera agli aiuti, scommettono al rialzo perché ne conoscono la vera entità: Goldman è un soggetto di diritto privato e opera sul mercato, quindi se ha fatto ciò di cui è “accusata” ha fatto bene. Non regge nemmeno l’accusa di insider trading per il suo ruolo di consulenza che la rende più informata di altri sul mercato: anche Morgan Stanley e altre banche d’affari negli anni – e a più riprese, l’ultima volta lo scorso novembre – hanno offerto i propri servigi al governo di Atene, il quale però ha scelto Goldman semplicemente perché è la migliore.
Altra accusa al gigante newyorchese è la propria capacità di agire sui mercati attraverso il software di flash trading che le permette di centrare ordini sempre un nanosecondo prima degli altri. Anche qui, tanto complottismo e poco realismo. Attualmente nelle Borse occidentali, tutte, servono 300 microsecondi – mille volte meno di un battere di ciglia – per incastrare ordini di acquisto e vendita: è così per tutti. Il trading algoritmico e ad alta frequenza, poi, rappresenta il 60% di tutte le attività sui mercati azionari degli Stati Uniti: non è solo Goldman, allora, a utilizzare i geni della matematica invece che affidarsi ai consigli degli arbitraggisti, mi pare.
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Pensate, tanto per capire quanto l’attività sui mercati sia frenetica, che i gateway, i cancelli, attraverso cui arrivano gli ordini sono interessati da un traffico di 3mila messaggi al secondo: e le valvole di regolazione entrano in gioco ai cinquemila messaggi al secondo, non prima. Questo è il mondo in cui naviga Goldman Sachs insieme, però, a tutti gli altri che ben ne accettano regole ma anche privilegi: non è colpa di Goldman se nel febbraio dello scorso anno Ubs ha inoltrato un ordine da 31 miliardi di dollari, 100 volte più grande del voluto. E nemmeno se Morgan Stanley, nel settembre di sei anni fa, ha inoltra un ordine da 10 miliardi invece che da 10 milioni. Loro sbagliano, perché in questa follia telematica è normale sbagliare, Goldman non sbaglia. Perché sono più bravi. Punto.
Sarebbe quindi il caso di farla finita con certe piazzate e dare le colpe a chi le merita: non va biasimata Goldman per il currency swap greco del 2001, ma Atene e i suoi politici corrotti e incapaci che non hanno saputo far altro che distruggere l’economia di un paese, rendendolo talmente debole e vulnerabile da diventare preda e bersaglio delle decine di Goldman di turno. Nessuno, a oggi, ha lanciato attacchi speculativi al ribasso sui conti tedeschi: si tengono d’occhio i cds delle banche teutoniche, non le casse e il rischio di default sul debito. Ed è cosa molto ma molto differente.
Basta quindi con il crucifige della finanza come mostro cattivo e senza morale, la situazione della Grecia e dell’intera eurozona è colpa di politici inetti e burocrati che non rispondono ad alcunché poiché non godono di mandato popolare: forse occorrerebbe mettere mano a questo, prima che pulirsi la coscienza dando tutte le colpe a Goldman Sachs. Il fatto stesso che Berlino stia “giocando” con il futuro di Atene e degli altri Pigs, prima confermando e poi negando il piano di salvataggio, la dice lunga sulla “moralità” di certa politica nell’Unione.